Skripal: i risvolti internazionali di un caso (ir)risolto

Il pulviscolo killer di Salisbury, liberato da una mano ignota lo scorso 4 marzo, ha avuto l’effetto di un uragano sulla scena diplomatica mondiale. Il tentato assassinio di Sergej Skripal, agente russo vendutosi ai britannici negli anni ’90, incarcerato e poi consegnato a Londra nel 2010, ha ancora molte domande senza risposta. Non è nemmeno sicuro che il vero obiettivo fosse lui, visto che il veleno ha aggredito il sistema nervoso anche della figlia Yulia, atterrata da Mosca il giorno prima. I due sono in condizioni critiche; la terza vittima, l’ufficiale di polizia Nick Bailey, uno dei primi a soccorrerli, è in miglioramento. Un centinaio di persone sono state tenute sotto osservazione, ma non hanno presentato sintomi da contaminazione.

A peggiorare, invece, sono stati i rapporti fra la Gran Bretagna e la Russia. Quasi subito, la Premier Theresa May ha puntato il dito contro Mosca: i sicari sono stati mandati dal Cremlino. La firma sarebbe proprio il nervino utilizzato nel tentato omicidio: comunemente conosciuto come “novichok”, è un tipo di arma chimica elaborata in Unione Sovietica negli anni ’70 e ’80. In russo novichok significa “nuovi arrivati”: perché i composti chimici erano quattro, tutti diversi dal Sarin (di origine tedesca) e dal XV (di origine statunitense).

La conferma che sia proprio un “novichok” è giunta dagli scienziati di Porton Down, impianto di sperimentazione militare a pochi chilometri da Salisbury; come ha spiegato il Ministro degli Esteri britannico Boris Johnson, laggiù sono disponibili campioni che hanno permesso di riconoscere  il composto chimico letale. Tuttavia, come si evince da un’ordinanza dell’Alta Corte di Londra per il prelievo di sangue dagli Skripal, da Porton Down le dichiarazioni suonano meno categoriche: le vittime sono state esposte a un agente nervino di classe “novichok” o un agente molto attiguo.

La Gran Bretagna, per ritorsione, ha deciso di espellere 23 cittadini russi considerati asset dell’Intelligence; e di riaprire indagini su morti sospette di russi entro i propri confini. Mosca ha reagito cacciando 23 cittadini britannici, e chiudendo un consolato a San Pietroburgo. Tuttavia è l’appoggio degli Stati Uniti all’alleato transatlantico a inasprire i rapporti diplomatici fra la Russia e il blocco Occidentale. Dopo il caso Skripal, il Presidente Usa Donald Trump ha infatti deciso di imporre nuove sanzioni contro i russi per l’interferenza nelle elezioni del 2016 – di cui avrebbe goduto proprio l’attuale inquilino della Casa Bianca. Sanzioni che, in realtà, erano passate al Congresso nell’estate del 2017 ; e che comprendono anche le incriminazioni dell’Investigatore speciale Robert Mueller contro cittadini ed entità russi coinvolti nelle indagini.

Si sta ricompattando quel fronte anti-russo che l’elezione di Trump, con le sue aperture a Mosca, aveva scombinato. Francia e Germania hanno subito affiancato la Gran Bretagna nel condannare la Russia. E’ stata un po’ più cauta l’Italia, grande acquirente di gas russo, e forse in attesa che il nuovo parlamento esprima un Governo. Dal  Consiglio europeo dello scorso 22 marzo, però, è uscito un comunicato congiunto molto duro: “siamo d’accordo con la Gran Bretagna nel valutare altamente probabile la responsabilità della Russia [sul caso Skripal], non essendoci alternative plausibili.”

Nella stessa Gran Bretagna, tuttavia, il leader del Partito Laburista Jeremy Corbyn non si è unito al coro: attende gli esiti di un’indagine risolutiva, prima di condannare la Russia o il suo Governo. Una posizione che ha attirato feroci critiche.

Un’indagine che coinvolgerà l’Organizzazione per la Proibizione di Armi Chimiche (OPCW): stavolta, non per riconoscere un tipo di attacco, ma per confermare la provenienza dell’agente; e di conseguenza, i colpevoli dell’agguato di Salisbury. Londra pretende che Mosca apra all’OPCW i siti di produzione di “novichok”, per un confronto con i campioni ritrovati sugli Skripal. La Russia, attraverso il suo Ministero degli Esteri, non solo nega di produrre questi composti letali, ma dichiara di non aver mai posseduto i cosiddetti “novichok”. A contraddire questa versione, sono emerse testimonianze di Vladimir Uglev e Leonid Rink, scienziati che contribuirono a sviluppare i quattro composti chimici nell’impianto Volks, nella regione di Samara: quei composti vennero prodotti e testai in Unione Sovietica. In particolare, Uglev ha raccontato: nel 1995 l’omicidio di Ivan Kivelidi, banchiere russo in odore di mafia, fu attribuito a una delle dosi – tutte numerate e identificabili – di uno degli agenti prodotti a Volks. Uglev non sa che fine abbiano fatto le scorte di “novichok”.

Articoli di una ventina di anni fa riportavano di questi misteriosi composti chimici, le cui scorie erano rimaste nei laboratori di ex Repubbliche dell’Unione Sovietica. Come l’Uzbekistan, che nel 1999 coinvolse gli Stati Uniti in operazioni di bonifica degli impianti.

Tuttavia l’OPCW non ha mai ricevuto scorte dei cosiddetti “novichok” da Stati che aderiscono alla Convenzione sulle Armi Chimiche (CWC); nemmeno dagli Stati della Comunità Indipendente (CSI), organismo nato dalle ceneri dell’Unione Sovietica. La Russia sulla carta ha distrutto l’intero arsenale di armi chimiche, con la supervisione dell’OPCW, lo scorso settembre 2017.

Nel 2016 l’Iran, in collaborazione con l’OPCW, aveva sintetizzato composti chimici assimilabili al tipo di nervino utilizzato a Salisbury, validando l’ipotesi che quel veleno può essere prodotto al di fuori della Russia.

Forse, però, la sicurezza di Londra nell’accusare Mosca deriva da informazioni al momento riservate; e non solo sul tipo di nervino, ma anche sulle vittime.

In Inghilterra dal 2010, il doppio agente Sergej Skripal fu arrestato nel 2004, ma venne rilasciato da Mosca dopo 6 anni di carcere; sembrava ormai tagliato fuori dai contatti dell’Intelligence russa. Negli anni ’90 era stato convinto a passare alla Gran Bretagna da Pablo Miller, agente del MI6. Recentemente Miller lavorava anche come consulente per Orbis, società di Intelligence fondata Christopher Steele, ex agente segreto di sua Maestà sotto copertura a Mosca fino al 1993, e supervisore negli anni 2000 dell’Intelligence sulla Russia. Fu lui a gestire l’ex spia Alexander Litvinenko, e a indagare sulla sua morte – avvelenato con il Polonio nel 2006.

Steele è il consulente del Partito Democratico (e informatore FBI) che ha redatto il famigerato Dossier nel quale, basandosi su fonti russe, descrive Donald Trump come un manchurian candidate nelle mani del Presidente Vladimir Putin. Informazioni che tuttavia non sono documentate né facilmente verificabili. Quindi, Pablo Miller lavorava per Steele, e conosceva benissimo Skripal; tuttavia per ora la connessione Skripal-Miller-Steele rimane un capitolo del passato, se non proprio una coincidenza.

Il Ministero degli Esteri britannico ha già bollato questa connessione come tentativo di Mosca di confondere le acque. Del resto era già accaduto con il volo di linea MH17, abbattuto nei cieli del Donbass da un missile russo nel 2014; la propaganda russa aveva disseminato false ricostruzione affinché la verità non venisse a galla.

Per il Ministro Boris Johnson, questo atto criminale ha già un mandante: Vladimir Putin, rieletto per la quarta volta al Cremlino due settimane dopo l’attacco di Salisbury. Il Presidente russo sarebbe il colpevole di un crimine di cui ancora non si conosce l’esecutore, né sono chiare le modalità di esecuzione; ma le cui conseguenze, a livello internazionale, sono già pesanti.

di Cristiano Arienti

https://www.mirror.co.uk/news/politics/timeline-russian-spy-poisoning-uk-12179195

https://www.politico.eu/article/theresa-may-eu-leaders-russia-threat/

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