In principio erano le parole

E’ difficile per un occidentale comprendere il legame fra i Musulmani e il loro testo sacro, il Corano. Un articolo sull’Economist pubblicato il 31 dicembre 2011 cerca di fare luce su uno degli aspetti più noti e fondamentali del mondo islamico, che riguarda anche oltre 1,5 milioni di musulmani presenti in Italia (fonte Caritas). Ecco la traduzione.

In the beginning were the words – In Principio erano le parole

I musulmani riveriscono il Corano. Ma il suo studio non è più un tabù, e in alcune quartine si fa sempre più coraggioso

Le religioni fomentano gli stereotipi, e i testi sacri ancor di più. I non-musulmani spesso vedono l’Islam come una fede seguita da persone che si conformano così rigidamente a un insieme immutabile di parole da ignorare nuovi imbarazzanti scoperte piuttosto che contraddire il suo messaggio. Per i critici, questo attaccamento a un testo incoraggia gli estremisti, come ad esempio Boko Haram, un gruppo che a dicembre ha assaltato le chiese nigeriane: le teste calde in generale possono trovare un passaggio del testo che pare giustificare la loro violenza.

Tali passaggi abbondano nel Corano, così come nei testi fondamentali del Cristianesimo, del Giudaismo e di molte altre religioni. Esiste anche una lunga tradizione nell’interpretare questi versi in modo rassicurante. Per esempio, si pone spesso l’attenzione che l’ordine di “uccidere gli infedeli ovunque li troviate” è relativo a un preciso contesto storico, quando i primi Musulmani vennero traditi da una comunità pagana con cui avevano pattuito una tregua.

Ma quando è il momento di analizzare il testo, c’è una grande differenza tra l’Islam e la maggior parte delle altre fedi basate su testi sacri. A eccezione di un breve intemezzo nel nono e nel decimo secolo, e pochi moderni liberali pensatori, i Musulmani hanno per lo più creduto che il Corano si distingua da tutte le altre comunicazioni. Essendo la rivelazione definitiva di Dio all’uomo, esso non appartiene alle cose terrene e create, ma alla sfera eterna. Questa pretesa è molto più grande rispetto alle affermazioni che le altre fedi di solito fanno riguardo ai loro scritti sacri.

Il Corano può essere interpretato, ma dal punto di vista di un credente nulla in esso può essere tralasciato. Eppure, almeno nel tranquillo e all’apparenza rispettoso mondo delle accademie occidentali, discutere proprio il testo del Corano è sempre più comune; come ad esempio alla conferenza tenutasi lo scorso novembre presso la Scuola di studi orientali e africani (SOAS), distaccamento della University of London. Uno degli organizzatori era Muhammad Abdel Haleem, un professore originario dell’Egitto che ha tradotto il Corano in un inglese dallo stile moderno; il suo lavoro ha suscitato l’ammirazione di molti, ma è stato accolto con brontolii dai puristi.  Fra gli altri partecipanti c’erano un professore turco e un accademico residente in Iran.  Ma i più erano non-musulmani che studiano il testo come qualsiasi altro documento scritto, con una prosa la cui evoluzione può essere ricostruita mettendo a confronto le versioni. Nuove tecniche, come l’utilizzo della fotografia digitale, aiutano a comparare le varianti e a risolvere casi intricati. Tutti i partecipanti accettavano implicitamente l’idea che il metodo utilizzato per analizzare Omero, per esempio, o i miti germanici, possa aiutare a comprendere meglio il Corano. In gran parte del mondo Islamico perfino la scaletta di un tale conferenza sarebbe stata oggetto di polemiche. Ciò su cui si può dibattere in molte nazioni Musulmane differisce di gran lunga da quello che viene discusso in Occidente. Il personale di un gruppo di ricerca Islamico con sede a Londra, l’Institute for Ismaili Studies, spazia dai radicali come Mohammed Arkoun, uno dei maggiori esponenti della scuola decostruttivista francese, fino ai tradizionali accademici Sunniti, i Sufi. Essi seguono il percorso di al-Suyuti, un egiziano del 15 secolo che accettava l’esistenza di versioni leggermente differenti del Corano.

Tali differenze all’interno di una stessa sala sarebbe impossibile oggi a Karachi o al Cairo, il bastione del mondo accademico islamico. In quei luoghi l’interpretazione dell’Islam e la sua storia resta un compito che solo i credenti possono intraprendere. I contributi da parte dei non-musulmani sarebbero considerati “orientalismo”, fondati sull’arroganza colonialista. In tali luoghi i musulmani che abbracciano punti di vista diversi devono affrontare l’ostracismo accademico, ma non solo: la loro stessa incolumità è in pericolo. In Egitto l’esponente di spicco per la promozione di una lettura libera del Corano, Nasr Abu Zayd, morto nel 2010, era stato denunciato per apostasia; costretto a un divorzio coatto da sua moglie, aveva dovuto trascorrere l’ultima parte della sua vita all’estero. L’affermarsi dell’Islamismo in Egitto non offre la prospettiva di un clima più benevolo.

Nel frattempo, gli accademici in Europa, stimolati dai manoscritti nelle grandi biblioteche europee, si stanno impegnando a fondo per scoprire come e quando la forma scritta del Corano è stata standardizzata. Negli Stati Uniti sono stati dedicati maggiori sforzi nel mettere in relazione il Corano con quello che si conosce dalle altre fonti su storia politica e sociale. Patricia Crone, dell’America’s Institute for Advanced Study, in passato sostenne che l’Islam ebbe origine da una rivolta dei Semiti contro i Bizantini e i Persiani. La Crone ha riveduto le sue posizioni, ma le copie del suo libro Hagarism passano di mano in mano per centinaia di dollari.

E’ stato negli anni 80′ del secolo scorso che si verificò l’aumento esponenziale di nuovi studi coranici presso il SOAS; oggi invece è uno dei molti dipartimenti universitari britannici dove gli studiosi ammettono che è difficile reperire i fondi per progetti ostili all’ortodossia; un cambio di rotta che ascrivono all’influenza dei donatori Sauditi conservatori. Tuttavia in Francia, la patria della teoria letteraria, e in Germania, la terra natia dell’analisi testuale, lo studio a tutto campo del Corano va avanti. Se qualcuno intende sostenere che versioni parziali della storia ebraica e di quella cristiana sono riscontrabili nel Corano, o che i suoi passaggi storici non sono accurati, nessuno lo fermerà.

Alla maggior parte dei bambini musulmani viene detto che devono sapere solo una cosa riguardo all’origine del Corano: che è stato rivelato a Maometto dall’Arcangelo Gabriele durante un periodo di 23 anni. Ma l’Islam ha da dire molto di più. Una narrazione molto ben conosciuta racconta di come la quarta guida dell’Islam, il califfo Uthman, comprese che stavano circolando diverse varianti della rivelazione di Dio; così stabilì che si seguisse un’unica versione, ordinando la distruzione di tutte le altre. Anche gli studiosi non-musulmani vedono i segni di un tentativo cosciente ma non pienamente riuscito di fissare una forma definitiva. Le continue variazioni non sono tutte irrilevanti. I punti sopra una singola lettera possono cambiare il tempo di un verbo, o la persona, come ha fatto notare l’americano Keith Small, uno dei partecipanti all’evento tenutosi presso il SOAS. Nel suo libro Textual criticism and Qur’an Manuscripts (Critica testuale e Manoscritti Coranici) Small sostiene che gli sforzi di standardizzazione del testo sacro sono andati avanti per quattro secoli dopo il tentativo di Uthman.

Prima del principio

Suscita molte attese lo studio di alcuni documenti coranici ritrovati in Yemen nel 1972. Dalle prime analisi delle immagini di questi fogli si evince che alcuni potrebbero essere anteriori alla prima grande standardizzazione. Questo studio è stato intrapreso in Germania, non nello Yemen. Ma alla luce della della vicenda di Uthman, il fatto che sia giunto fino a noi del materiale differente (sfuggito al tentativo di standardizzazione) non va considerato come qualcosa di così scioccante. Dopotutto, la tradizione islamica attribuisce a Maometto almeno 7 versioni orali del Corano, sebbene divergano solo di poco.

La Turchia e l’Iran si distinguono come importanti Paesi musulmani dove, almeno in ambienti accademici, è possibile parlare delle origini testuali del Corano. La costituzione laica della Turchia contribuisce a salvaguardare la libera ricerca. Le università di Ankara e Istanbul riflettono ancora il carattere razionalista di una repubblica laica, ma l’accento islamico dell’attuale governo turco condiziona le università meno antiche.

Se l’Iran, seppur di poco, è maggiormente aperto rispetto a molti Paesi arabi, questo è dovuto all’islam sciita: essi considerano la teologia, e l’interpretazione dei testi, come un esercizio continuo. Di recente uno scrittore sciita che vive a parigi, Mohammad Ali Amir-Moezzi, ha acceso un dibattito, sostenendo che la divisione tra Sunniti e Sciiti, in realtà, è avvenuta proprio sul testo del Corano.

Molti Sciiti affermerebbero che questo amplifica lo scisma. Sui principi basilari il clero sciita iraniano resta unito: concorda sul fatto che il testo oggi in loro possesso è esattamanete ciò che venne detto a Maometto. Una simile irriducibilità va tenuta a mente: chi si aspetta che l’Islam diventi qualche cosa di simile al Cristianesimo liberale, che consideri le scritture come un importante ma non infallibile supporto alla fede, si sbaglia. Come spiega Mustafà Aykol, uno scittore turco, “chi afferma che il Corano è un testo umano, cessa di essere Musulmano”. Sugli Hadith, i racconti sulla vita di Maometto,  c’è tolleranza; alcuni possono essere eliminati come fallaci o sorpassati. Ma nulla nel Corano può essere tralasciato.

Eppure alcune posizioni possono mutare, aggiunge Aykol. Il suo libro Islam without estremes – Islam senza estremisti cita la schiavitù come una problematica per cui le parole del Corano possono essere rilette. Il testo è favorevole alla liberazione degli schiavi, ma non pretende l’abolazione della pratica. “Questo significa che Dio perdona la schiavitù, o che Dio parlò usando regole del settimo secolo, soggette ai cambiamenti?, si chiede, precisando che parecchi teologi musulmani si sono schierati per la seconda ipotesi. Si dà il caso che i Cristiano abbiano sollevato simili questioni, analizzando una per una le parole di San Paolo. L’Islam, come il Cristianesimo, offre rigidità per coloro che la desiderano; ma lascia spazio per le sfumature.

articolo pubblicato sull’Economist

Traduzione di Cristiano Arienti

In copertina: dipinto di Alì Hassoun – Safinat al-najat

Siti utili

corano.it

economist.com

internazionale.it

 

 

 

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