Grillo, il Quirinale e la mia marcia su Roma

“E’ in atto un colpo di stato. […] Sto andando a Roma. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Qui o si fa la democrazia, o si muore come paese.”

Questo è il messaggio di Beppe Grillo postato sul suo blog poco dopo la rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica, e ribattuto da tutti i siti di informazione e social networks. L’ex comico genovese è il leader di un movimento, il 5 Stelle, che ha raccolto il 25% dei consensi nelle scorse elezioni, cioè ben oltre 8 milioni di persone. E penso: anche rispondessero solo uno su 100, fanno 80.000 convergenti sul Parlamento italiano e intenzionati, come minimo, a un sit-in permanente. Un’immagine ghandiana. E poi però ricordo che Grillo, pochi giorni prima, aveva detto: per l’esasperazione “la gente prenderà i bastoni”. E come si fa a non pensare alla marcia su Roma, quando nel 1922, con la capitale invasa da decine di migliaia di camice nere, Re Vittorio Emanuele III assegnò a Benito Mussolini il compito di formare un governo: di lì a poco il duce avrebbe instaurato una feroce dittatura. Che lo ammetta o no, Grillo con il suo appello ha sferzato la memoria storica di un Paese modellato sul fascismo, l’antifascismo, e una strana sintesi di entrambe da cui ancora oggi non siamo liberi.

Perplessità: “cosa vuole fare Grillo”, mi chiedo, “cosa significa ‘o si fa la democrazia o si muore’?”

Mi dico che è una buffonata, che non succederà nulla. Su Twitter riprendo a scorrere i primi commenti sulla rielezione di un quasi 90enne a Capo dello Stato, una forzatura che spinge il Paese a un presidenzialismo d’emergenza. E però leggo che Grillo non rinuncia, ma rilancia: “Contro il ‘golpe’ ci sarà una manifestazione pacifica, quindi isolate i violenti”. Cioè, chiama milioni di persone a Roma, e prevede anche che ci saranno esplosioni di violenze. Mi stropiccio gli occhi: “ma davvero, cosa sta succedendo oggi?”. Guardo fuori dalla finestra; a metà pomeriggio il cielo di Milano è grigio, piove.

Mi calmo; vado ripetendomi che non è una marcia, ma al massimo un raduno dove si griderà il nome del candidato del M5S, Stefano Rodotà, ma nulla di più. E allora torno a chiedermi se il secondo mandato a Napolitano rappresenti, come insegnano autorevoli esperti, l’unica salvezza da questa crisi, o sia la deriva di una classe politica, neofiti compresi, letteralmente incapace di mandare avanti il Paese. E’ poi una classe politica riconfermata con una legge elettorale inadeguata, ma pur sempre passata attraverso un voto. E infatti scorre il tweet di Paolo Lepri, corrispondente da Berlino del Corriere della Sera: “A questo punto si tratta di difendere la Costituzione, il Parlamento, la legittimità dei partiti in una democrazia rappresentativa.”

Ci rifletto su una decina di minuti; poi prendo lo zaino, ci butto dentro due cambi, il ki-way e vado alla stazione delle ferrovie. Voglio vederlo con i miei occhi se, 90 anni dopo, davvero ci sarà la marcia su Roma di questa era digitale. Mando un sms al mio amico Antonio, attivista milanese in uno dei meet-up di zona, cioè i presidii del movimento 5S sul territorio. “Sto andando a Roma, vuoi venire con me?”

Mi richiamerà quando sono già sul treno.

“Ma davvero stai andando a Roma? Ma dai! E’ una follia!”

Non gli chiedo se si stia riferendo alla mia decisione di partire, oppure all’adunata di Grillo per far convergere “milioni di persone” sulla capitale. C’è un breve silenzio, poi ammette: “Non succederà nulla, ma per te può essere comunque un’esperienza interessante.”

Raggiungo Roma verso le 21:30, investito da un vero tepore primaverile. Nel piazzale della stazione ci sono un paio di camionette della polizia con agenti in assetto antisommossa. Nel palato azzurro del cielo volteggiano stormi d’uccelli e un elicottero; è affiso in un punto preciso, perpendicolare alla manifestazione: è lì che devo andare. Ed è straniante: le precauzioni per un temuto assedio sembrano folclore di una città che vive il sabato sera in tutta tranquillità: comitive di turisti che indagano una cartina; sciami di ragazzini vestiti eleganti per la discoteca; una coppia si scambia effusioni alla fermata di un bus. Non c’è traccia di calate né di “cittadini” pronti a morire per la democrazia, né di facinorosi invogliati a fare casino.

Prendo via Cavour alla ricerca di una stanza. La receptionist di un hotel mi dà la disponibilità di una camera presso un Bad&Breakfast in zona Fontana di Trevi, tra Quirinale e Montecitorio. Mi affida a Marco, autista rom cinquantenne con la barba di due giorni e i capelli scompigliati. Durante il trasferimento, inevitabilmente parliamo di politica.

“Ma che stanno a fa’ questi, ce stanno rovinando. Pensano solo alle pance loro, a star bene loro, che noi intanto i negozi chiudono uno dopo l’altro. La gente non c’ha i soldi da spendere. Te credo che vogliono fa’ la rivoluzione”

Durante il tragitto facciamo la strada che passa sul Colle; gli accessi per il Quirinale sono chiusi da cordoni della polizia, ma non vedo i manifestanti. Quando arrivo al B&B controllo le agenzie; la Digos, unità speciale della Polizia, ha “invitato” Grillo a cancellare la sua apparizione davanti a Montecitorio o in qualsiasi altra piazza di Roma. La guida dell’M5S ha capito che gli animi delle molte centinaia di persone confluite a Roma erano troppo surriscaldati: la situazione poteva sfuggire di mano.

Al Quirinale ci torno a piedi qualche minuto dopo. Nel frattempo hanno levato i cordoni di sicurezza; i manifestanti devono aver desistito dall’idea di occupare la piazza. Dell’edificio mi colpiscono le due enormi bandiere che sventolano dal balcone sopra al portone: il tricolore, e il blu stellato dell’Unione europea. Mi avvicino a un capannello, c’è gente intorno al giornalista David Parenzo, il quale ha appena finito di intervistare le persone, per tastarne gli animi e le sensazioni. Parenzo, tra le altre cose, è ospite fisso della Zanzara, programma di informazione di Radio24. Proprio i microfoni della Zanzara, qualche giorno prima, avevano beffato Valerio Onida, uno dei dieci saggi scelti da Napolitano per formulare proposte in campo costituzionale ed economico.

“I saggi non servono a niente”, ha detto Onida a una finta Margherita Hack; “si sta guadagnando tempo per trovare delle soluzioni.”

Parenzo, dopo aver parlottato con un paio di ammiratrici (o meglio, contestatrici della Zanzara), si guarda intorno. “E’ tutto finito qui, anche a Montecitorio non c’è più nessuno. Possiamo anche togliere le tende, direi”. Non sono neanche le 23.

Io invece decido di andare verso la stazione Termini, per vedere se intanto sono giunti altri manifestanti, quelli partiti dalle rispettive città quando Grillo non aveva ancora abbandonato l’idea di occupare la piazza. In via Nazionale vengo fermato da due donne con un forte accento toscano: vogliono sapere qual è la direzione per il Quirinale. Gliela indico, e intanto chiedo se siano a Roma per la manifestazione del M5S.

“Sì, abbiamo visto la gente davanti a Montecitorio, e ci siamo fatte due ore di macchina per venire qui, più un’altra mezz’ora di treno da Civitavecchia.”

Michela e Xenia sono di Grosseto, elettrici del M5S ma non attiviste: “Non ci piacciono le persone che gestiscono il meet-up di laggiù.”

Mi offro di accompagnarle al Quirinale. Durante il tragitto mi spiegano di essere indignate per la rielezione di Napolitano, che non si capisce perché non andasse bene Stefano Rodotà , il “nome espresso dalla Rete”. Qualche giorno dopo, a proposito della candidatura del giurista calabrese, l’M5S avrebbe reso pubblici i numeri delle “Quirinarie”: Rodotà ha ricevuto 5.000 preferenze su 48.000; numeri irrisori. Michela e Xenia mi confermano, invece, di essere molto soddisfatte per le mosse della pattuglia di parlamentari grillini: “se avessero fatto l’inciucio con il Partito democratico, giurò che non gli avrei più dato il voto al M5S.”

Sono le 23 e la piazza del Colle è deserta, a parte un pugno di turisti, alcuni poliziotti e una volante dei carabinieri. Xenia e Michela si mettono in posa davanti al Quirinale per le foto ricordo.

“Grillo, noi siamo qua! Tu dove sei?”, dice Michela ridendo.

Scendiamo dal Colle e ci fermiamo alla Fontana di Trevi. Chiacchieriamo tra gruppetti di ragazzini romani, turisti russi, e  bengalesi che ti propinano rose o paccottiglie. Una turista indiana, di spalle come vuole tradizione, getta una moneta nella fontana. Dopo una ventina di minuti ci dirigiamo verso Montecitorio. Davanti a un ristorante incrociamo un’auto blu: Xenia guarda con rassegnazione l’automobile avviarsi  lungo la via: “eccolo, s’è mangiato il pesce con i nostri soldi, e ora a nanna in un albergo 8 stelle.”

Diamo un’occhiata a Montecitorio, dove staziona un gruppo di ragazze e ragazzi dubbiosi riguardo alla discoteca dove passare la notte; i poliziotti a presidio del Parlamento, poco più che ventenni, si danno di gomito commentando le gambe delle coetanee in minigonna. Ignorano la dozzina di persone che discutono sull’opportunità della rielezione di Napolitano. Un paio d’ore prima quegli stessi agenti avevano dovuto fronteggiare centinaia di persone che scandivano il nome di “Rodotà”, ossessivamente, come per lenire un dolore.

Saluto le “cittadine” toscane dirette alla stazione, e me ne vado a letto anche io.

Alla mattina, nella cucina del B&B, faccio la conoscenza di una famiglia spagnola, marito, moglie e suocera al seguito. Vengono dalla Canarie, e stanno visitando l’Italia. Gli spiego perché sono a Roma, e ci confrontiamo sulla disoccupazione tra i due Paesi. In Spagna, mi dicono, il 57% dei giovani è senza lavoro. Infatti, gli confermo, a Milano è pieno di spagnoli. Mi rispondono che anche da loro è pieno di giovani italiani. E ripenso a qualche giorno prima, mentre ero in tram e ascoltavo la discussione fra tre ventenni: parlavano di emigrare in Nuova Zelanda, dove sicuramente avrebbero trovato un lavoro. Uno di loro si era già informato per i documenti, ed era il più convinto a partire per Auckland, mentre gli altri due parlavano di Australia. In Italia la disoccupazione giovanile viaggia sopra il 35%.

Alla mattina presto la piazzetta della Fontana di Trevi non è ancora colma di turisti, e ci sono tanti romani a passeggio con i figli o i nipoti. Nei dialoghi carpiti si parla di Napolitano. Incomprensione, rassegnazione, rabbia, sono i sentimenti espressi a voce udibile; concetti ascoltati anche il giorno prima, sebbene connotati dall’incredulità più che da risentimento. All’edicola un cinquantenne corpulento fa incetta di quotidiani: critica aspramente il Napolitano bis: “Ma come fai a metter uno che ha quasi 90 anni a Capo dello stato?”

Un’anziana prova a difendere l’inquilino del Colle: “Ha una mente così lineare quello, molto meglio di tanti altri”. Ma il cinquantenne non ci sente: “Signora, l’hanno rimesso lì perché gli andava bene a tutti mantenere le cose come stanno.”

La giornata è splendida, i monumenti sono nitidi alla luce del sole, e per le stradine dietro Campo dei Fiori si sentono gli odori di caffè, salumi e pini marittimi. Scatto una foto alla statua di Giordano Bruno, filosofo panteista del ‘600, arso vivo per eresia. Mi lascio incantare da questa primavera romana. Visito il Pantheon, dove sono custodite le spoglie di Vittorio Emanuele II, il re che unificò l’Italia 152 anni fa.

Passo davanti a Montecitorio, per vedere se è in corso qualche manifestazione davanti al Parlamento. Vedo solo agenti della polizia e giornalisti, accanto alle camionette i primi, e a un furgone con antenna parabolica i secondi. Proprio vicino al furgone ci sono una decina di persone davanti a un video; stanno seguendo la conferenza stampa di Beppe Grillo, attorniato da alcuni parlamentari del M5S. E’ in diretta dal Testaccio di Roma. L’atto d’accusa verso la classe politica che ha governato negli ultimi 20 anni è senza appello: “andate in una piazza normale davanti alla gente, che è in ginocchio e non ce la fa più, e vediamo cosa dite. Vi do un anno, 12 mesi che state rubando al Paese, e poi il vostro tempo è scaduto.”

Il gruppetto di gente applaude convinto. C’è un quarantenne con le basette lunghe che continua a ripetere ad alta voce: “Hai ragione Beppe, hai ragione! Mandiamoli a casa tutti!”

Una donna russa, residente in Italia da tantissimi anni, lo sostiene: “E’ vero, ma come facciamo? Questi non se ne vanno, stanno attaccati alla poltrona!”

Un ragazzo romagnolo, seduto per terra davanti alla televisione, si volta: “Dobbiamo occupare la piazza di Montecitorio, non permettergli più di entrare in Parlamento.”Lo dice a due metri da una agente della Digos, che lo guarda perplessa.

In un passaggio della sua conferenza stampa, Grillo afferma che i partiti politici dovrebbero ringraziare lui e l’M5S, perché stanno incanalando in modo civile e democratico una rabbia e una tensione che in altri Paesi si sfogano con il voto a partiti neonazisti, o in manifestazioni violente. Ripenso ancora alla sua frase dei bastoni, e a quello che i cittadini arriverebbero a fare, spinti dall’esasperazione: immagino che sia consapevole, Grillo, che andrebbero a prendere anche lui, se il linguaggio della violenza dovesse avere il sopravvento.

Lascio Montecitorio e il Parlamento, e vado a fare a un giro all’Altare della patria. C’è una grande folla ai piedi del monumento: è in corso la parata storica per celebrare la nascita dell’antica Roma, datata il 21 aprile del 753 a.C.. Davanti a me e agli altri spettatori, famigliole e turisti stranieri, sfilano centinaia di persone in costume, le rappresentazioni di tutte le epoche della città eterna: dalla fondazione, passando per i re, la Repubblica e i senatori, le legioni, i nemici e gli schiavi, i Cesari e gli imperatori, fino ai Papi e alle invasioni barbariche. E non posso fare a meno di aggiungere alla parata storica i volti di coloro che, negli ultimi 20 anni, hanno governato il Paese: da questa città magica, custode della nostra memoria antica e moderna, hanno guidato il Paese a un passo dalla rovina, nel 2011; ma soprattutto lo hanno portato a un livello di corruzione “endemico”, come lo ha definito il Presidente della corte dei Conti Luigi Giampaolino un paio di mesi fa.

E ripenso alla rielezione del quasi 90enne Napolitano a Capo dello stato: in una tragedia shakespeariana sarebbe il classico “hamartia”, cioè l’errore fatale dopo il quale non è più possibile tornare indietro. Se il suo governo delle larghe intese dovesse fallire, o se questi partiti dovessero incrinare definitivamente il rapporto istituzioni-cittadini, non so davvero cosa potrebbe succedere. Io temo che in questo Paese, il tempo delle commedie e delle buffonate sia davvero finito.

di Cristiano Arienti

In copertina: Il Quarto Stato – Pellizza Da Volpedo

Conferenza stampa di Grillo.

 

 

 

 

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