Presidenziali Usa: il fattore Black Lives Matter

“Le proteste non si fermeranno, questo è un movimento; e statene certi: queste proteste non si fermeranno prima delle elezioni di novembre, né dopo; i manifestanti non molleranno, non dovrebbero farlo, e noi nemmeno”.

Così si esprimeva la candidata Vice-Presidente del ticket democratico Kamala Harris, in un’intervista del 18 giugno; erano trascorse meno di quattro settimane dalla morte dell’afroamericano George Floyd, durante un fermo di polizia. Le immagini immortalate da due passanti, con il 46enne a terra col ginocchio dell’agente Derek Chauvin sul collo, hanno fatto scoppiare proteste in un tutti gli Stati Uniti; la nuova ondata di BLM (Black Lives Matter – le vite dei neri contano) ha travolto le strade del Paese: da Minneapolis, metropoli dove Floyd è stato ammazzato, fino alle cittadine di provincia, il melting pot americano ha gridato la rabbia per un razzismo sistemico ancora percepito tra gli afro-americani. Sotto la lente è la condizione di perenne sospetto sui cittadini dalla pelle scura, puntati dalle forze dell’ordine: frequenti fermi di polizia, perquisizioni immotivate, abusi verbali e fisici; fino al grilletto facile in situazioni apparentemente gestibili in altro modo. Un retaggio, denuncia BLM, di 250 anni di schiavismo, più 150 di segregazione e/o pregiudizio. Ecco che la morte di Floyd, e quella di altri afro-americani morti in custodia della polizia, è vista come un nuovo tipo di linciaggio.

La Harris lo ha esplicitato in un discorso al Senato, il 4 giugno, intervenendo sulla sua proposta di Legge sull’Anti-Linciaggio: “George Floyd è stato ammazzato da un agente di polizia; il suo dolore e quello dei suoi famigliari è il dolore degli americani, i quali sono stati testimoni di quello che abbiamo visto sin dalla fondazione di questo Paese: e cioè che le vite dei neri non sono state prese in considerazione come pienamente umane, e meritevoli di dignità. […] L’America si trova nuda oggi, perché non ha mai veramente affrontato il razzismo storico e sistemico che è esistito nel nostro Paese.”

Poi, riferendosi all’emendamento del Senatore Rand Paul, il quale ha bloccato la proposta, la Harris ha continuato: “Perché ammazzare una persona premendogli un ginocchio sul collo per 8 minuti non basta a definirsi un linciaggio? […] Non possiamo pretendere che il linciaggio sia un fenomeno del passato.”

Il Partito Democratico, quindi, ha coperto politicamente la lotta di Black Lives Matter; che però non si riduce a riscrivere la storia degli Stati Uniti, fondati sulla schiavitù dei neri; né di sradicare il razzismo nella società e nelle istituzioni: il movimento propone misure di riparazione per le comunità afro-americane, che partono storicamente svantaggiate a causa della segregazione; e soprattutto un profondo rinnovamento del ruolo della polizia. Le parole chiave sono “de-finanziare”, cioè ridurre i fondi per le forze dell’ordine; e “diminuire” la presenza degli agenti sul territorio. L’obiettivo è creare una rete di intervento per le emergenze che non si focalizzi sulla repressione o il contenimento, ma sulla gestione e il sostegno. Di conseguenza i fondi vanno investiti in progetti che elevino la vita nei quartieri afro-americani più disagiati, e non nella militarizzazione della polizia; come è avvenuto anche durante i primi quattro anni dell’Amministrazione Obama-Biden; una politica ravvivata sotto la Presidenza Trump.

Uno scontro passato dalle parole ai fatti proprio durante le manifestazioni di BLM, connotate spesso da azioni dimostrative: come l’abbattimento delle statue simbolo dell’oppressione e del colonialismo; o come l’occupazione di piazze e vie senza l’autorizzazione delle autorità; o le scorribande nei quartieri gentrificati. In alcuni casi si sono generati scontri fra manifestanti e forze dell’ordine; alle provocazioni, anche gratuite, è spesso seguita una cieca repressione.

Se oltre il 90% delle proteste si è svolto in un clima pacifico, a centinaia si sono trasformate nel paravento per saccheggi e vandalismi, soprattutto nelle aree periferiche ma anche nei centri urbani; con danni per milioni di dollari un po’ ovunque. Episodi che, in casi estremi, hanno causato ulteriore violenza, sparatorie e vittime.

Se il Partito Democratico è stato svelto a intestarsi le proteste di BLM, con il candidato Joe Biden inizialmente favorevole a uno sviamento dei fondi per la Polizia, il Partito Repubblicano ha denunciato l’anarchia e il crimine impunito per le strade d’America. Il Presidente Usa Donald Trump ha coniato uno degli slogan iconici di questa campagna elettorale: “Law & Order – Legge e Ordine”.

Solo in un secondo momento, con la recrudescenza della criminalità in numerose periferie, Biden ha preso le distanze dalle parole d’ordine di BLM: la sua Campagna non vuole togliere soldi alle forze dell’ordine, ma promuovere un rinnovamento; che vedrebbe addirittura aumentare i fondi, con progetti di formazione.

Una correzione giunta in ritardo, visto che le assemblee comunali di città in mano democratica avevano già tagliato soldi alle forze dell’ordine. Mosse che hanno provocato dimissioni e prepensionamenti; a Seattle Carmen Best, la prima donna afro-americana a capo di un dipartimento di polizia negli Usa, ha lasciato denunciando l’impossibilità di gestire l’ordine pubblico nei prossimi anni. E i sindaci che hanno retto alle pressioni, sono subissati di critiche, come Jacob Frey a Minneapolis; o addirittura assediati al domicilio privato, come Ted Wheeler a Portland, dove la protesta è debordata con incendi appiccati nel perimetro e all’interno di edifici federali.

Azioni che hanno chiarito come la disobbedienza civile non sia la sola tattica: la molestia privata e la guerriglia urbana sono opzioni per raggiungere gli obiettivi. Con la polizia, come sottolinea l’afro-americano Daryl Turner, Presidente dell’associazione poliziotti di Portland, senza l’appoggio delle istituzioni cittadine e statali; nel silenzio della società civile, nel migliore dei casi: perchè nella realtà è vasta la rete di appoggio, anche finanziaria, a BLM. L’organizzazione è estesa sul territorio, connessa via social media, ma senza leader apicali: nessuno ci mette la faccia quando le proteste, al netto delle documentate infiltrazioni dell’estrema destra, precipitano in rivolte. E anzi parecchi attivisti hanno giustificato i saccheggi, inquadrandoli come una conseguenza della rottura del patto sociale con l’assassinio degli afro-americani per le strade del Paese.

In alcune situazioni è oggettiva la difficoltà a mantenere l’ordine pubblico; ecco come si è aperta la strada per l’autoconvocazione di milizie armate a “difesa” degli esercizi privati. Gruppi solidali con le forze dell’ordine, e apertamente a favore del Presidente Trump; con sospetti di affiliazione al suprematismo bianco.

Tutto questo si è mostrato a fine agosto, con gli incidenti di Kenosha, Wisconsin. Si sono verificati a seguito del ferimento dell’afro-americano Jakob Blake da parte di un agente di polizia, il 23 agosto, durante un’operazione d’arresto per molestia e aggressione sessuale: Blake è stato colpito con sette colpi alla schiena mentre entrava nell’abitacolo della sua auto, ignorando i tentativi della polizia a bloccarlo.

Un video con gli istanti della sparatoria, e la diffusione di notizie false sull’interazione con la polizia, hanno generato il finimondo a Kenosha, con intere aree messe a ferro e fuoco. Due giorni dopo milizie armate a presidio contro vandali e saccheggiatori sono finite in attrito con i manifestanti; è in quel caos che il 1 7enne Kyle Rittenhouse ha ucciso Joseph Rosenbaum e Anthony Huber, e ferito Gaige Grosskreutz. Sebbene i tre episodi appaiano come atti di legittima difesa, il 17enne è in stato d’arresto, incriminato per omicidio.

Non esistono legami documentati fra Rittenhouse e il suprematismo bianco. Il ferimento di Jakob Blake non ha nessuna relazione con il “razzismo”: la polizia è intervenuta per una chiamata d’emergenza da parte di una donna periodicamente molestata da Blake; gli agenti sapevano che l’uomo era già stato processato per uso improprio di arma da fuoco, e quindi socialmente pericoloso. Blake armato di coltello da combattimento, ha poi resistito a un arresto su mandato; e quando, indifferente al taser e sordo gli ordini di bloccarsi, ha tentato di entrare nell’abitacolo, gli agenti hanno avuto frazioni di secondo per decidere se stesse afferrando una pistola; uno di loro gli ha sparato. I 7 colpi a bruciapelo, alla schiena, con tre figli di Blake seduti all’interno dell’abitacolo, sono il manifesto di qualcosa di profondamente sbagliato nella società americana.

Gli eventi di Kenosha denudano, più che il razzismo sistemico, un problema altrettanto grave: la marea di armi da fuoco nel tessuto sociale americano. Quasi il 40% dei proprietari di immobili ne possiede una. Con lo scoppio della pandemia da Covid19, e i disordini conseguenti alla morte di Floyd, nel 2020 le vendite di armi da fuoco sono state da record. Senza contare quelle detenute illegalmente, e che circolano nel mercato nero della criminalità.

Da Kenosha sorgono domande assillanti: perché un giovane manifestante come Grosskreutz gira armato di pistola? O un 17enne come Rittenhouse vaga per le strade imbracciando un fucile automatico? O Jakob Blake, in preda all’alcol, estrae una pistola all’interno di un bar, e la brandisce in faccia agli avventori?

Nel 2016 il giornalista britannico Gary Younge pubblicò il libro inchiesta Un altro giorno di morte negli Stati Uniti; racconta come le armi da fuoco spengono la vita di migliaia di ragazzi all’anno, e corrompono ogni angolo d’America; ma in particolare, i quartieri poveri a maggioranza afro-americana.

In un Paese dove girare armati è protetto per legge, ecco che la polizia è determinata a difendere la propria incolumità qualora si trovi di fronte a situazioni aggressive o provocatorie, o le percepisca come tali; a questo si aggiunga la pratica di neutralizzare chi pone un rischio diretto, sparando quanti proiettili necessari perché non sussista più pericolo. E troppo spesso la capacità di discernerlo, si diluisce nella paura di ricevere una pallottola in pancia, come emerge da un approfondimento del New York Times; negli Usa la prima regola per un poliziotto è la seguente: “il compito è quello di tornare a casa a fine servizio”.

Anche così va osservata l’assurda morte di Tamir Rice, 12enne che in un parco mirava le persone con una pistola ad aria senza tappino; o quella di Mike Brown, 18enne che aggredì un poliziotto durante un arresto in flagranza di reato per un taccheggio. I casi, risalenti al 2015 e al 2014, capitarono durante il secondo mandato di Barack Obama, primo Presidente afro-americano. Eric Holder, primo Segretario alla Giustizia afro-americano, supervisionò le indagini, ma nessuno dei poliziotti fu incriminato di omicidio. Tuttavia queste morti sono state il trampolino di lancio di BLM.

Nel pantheon del movimento sono finiti almeno una dozzina di altri afro-americani deceduti durante operazioni di polizia, o in custodia degli agenti. In assoluto, in questo tipo di situazioni, si contano più vittime fra i bianchi rispetto ad altre etnie; sebbene la comunità afroamericana registri più casi in percentuale.

Ecco che queste morti, tralasciando il colore della pelle, parlano di una brutalità che trasuda nei dipartimenti di polizia americana; gli agenti operano in un ambiente esterno ostile; soprattutto in aree comandate dalla criminalità; dove le pistole possono essere nella tasca o nel cruscotto del primo che passa, o nella dispensa della cucina. In un Paese dove l’uso delle armi da fuoco è perfino esaltato nella cultura di massa.

Fattori ricorrenti nel caso di Breonna Taylor, un’altra icona del movimento BLM; la 26enne, presentata sui media come vittima di un martirio ingiustificato, era partner delle trame criminali di Jamarcus Glover, suo ex fidanzato, a capo di una gang di spacciatori. Taylor è stata crivellata nella sua casa di Louisville, dopo aver ignorato la polizia che bussava alla porta con un mandato di perquisizione; e con il suo fidanzato, Kenneth Walker, che per primo aveva sparato agli agenti, ferendone uno, dopo che questi avevano proceduto con l’irruzione.

Alle domande assillanti su come affrontare la questione di un Paese invaso dalle armi, Joe Biden aveva già provato a rispondere, durante gli anni di Vice-Presidenza. Nel 2013, dopo il massacro di Sandy Hook, il Presidente Obama provò a varare una legge sul controllo delle armi: dietro, aveva la spinta di un Paese in lacrime per la morte insensata di venti bambini; ma fu bocciata al Senato.

La brutalità poliziesca e il grilletto facile non vengono legati alla questione del diffuso possesso di armi. Piuttosto, in questa campagna 2020, sono associati al razzismo, oltre che all’impreparazione degli agenti; i quali finiscono sul banco degli imputati, sui social media prima che davanti a una giuria, anche quando agiscono per legittima difesa durante una vasta operazione per sgominare un traffico di droga, come nel caso di Taylor. Il cittadino medio americano piange la vita spezzata di Breonna; ma si chiede: è giusto parteggiare per dei trafficanti che portano rovina nel tessuto sociale pur di condannare la polizia?

La figura di Jakob Blake è stata coccolata dai Democratici per rinforzare la visione di un’America che si confronta con il razzismo; la donna oggetto delle sue annose molestie è nel dimenticatoio. Biden ha incontrato i familiari dell’afro-americano; e Kamala Harris ha voluto parlarci direttamente. Ma è proprio dopo i disordini di Kenosha che il ticket democratico si è visto costretto a una sterzata rispetto alla politica di BLM; se il movimento non si cura delle violenze parallele alle proteste in nome delle “vite dei neri”, Biden ha chiesto che i vandali e i saccheggiatori vengano perseguiti. Lo ha dichiarato in un discorso del 1° settembre; il giorno prima Trump lo aveva nuovamente accusato di “stare dalla parte di chi ruba, distrugge, vandalizza, e aggredisce la polizia”.

Anche il Presidente Usa ha visitato Kenosha; Trump ha passato in rassegna i negozi distrutti con le proteste. Si è eretto a difesa della micro-impresa che durante i disordini protegge le vetrine con pannelli di legno, mettendosi a guardia delle entrate imbracciando fucili. In Usa, fra le minoranze, spesso fra immigrati di 1° e 2° generazione, si conta un numero importante di proprietari di piccole attività.

L’indiretta conseguenza dei disordini è il degrado, e la perdita di valore di immobili e business; capita in un periodo di crisi dovuto alla pandemia, e che affligge soprattutto le minoranze, i micro-imprenditori e i loro dipendenti.

L’occupazione per molti elettori rimane il tema più importante; lo stesso che ha consegnato la Casa Bianca a Donald Trump nel 2016, e che ha rappresentato il traino del suo mandato. Tuttavia il Covid19 ha sparigliato le carte, mostrando l’incompetenza dell’Amministrazione Trump-Pence nel gestire una pandemia che ha affossato l’economia; e questo è l’altro tema decisivo delle elezioni, che probabilmente decreterà la sconfitta dei Repubblicani a novembre.

A metà settembre, però, devono essere suonati come un campanello d’allarme, per Biden, i sondaggi che vedono un minor supporto a BLM, in particolare fra gli ispanici, gli asiatici e i bianchi; con solo il 30% di questi che solidarizza in modo convinto con il movimento. Un dato che riflette l’impatto negativo dei disordini, e del bersagliare le forze dell’ordine.

E’ vero che in tutti i sondaggi, ormai da molti mesi, il candidato democratico ha un consistente vantaggio su Donald Trump; tuttavia potrebbe innescarsi un effetto Bradley all’inverso. Nel 1982 l’afro-americano Tom Bradley era candidato Governatore della California; nelle urne, nonostante i sondaggi favorevoli, perse il voto dei bianchi che in pubblico annunciavano di votare per lui. In queste elezioni 2020 parte degli elettori potrebbe dichiarare il voto per Biden: ma nel segreto dell’urna, scegliere il Presidente in carica; nonostante nel suo mandato abbia fomentato divisioni etniche. E’ un’eventualità, questo effetto Bradley all’inverso, che potrebbe verificarsi con numeri risicati, non sufficienti a confermare Trump alla Casa Bianca.

Rimane però il dubbio su come l’eventuale Amministrazione Biden-Harris si comporterà di fronte alle richieste pressanti di BLM. Una volta alla Casa Bianca, per loro diventerà complicato intestarsi ancora le battaglie del movimento.

di Cristiano Arienti

In copertina: José Luis Magana/Getty Images; manifestanti BLM davanti alla Casa Bianca.

Fonti e Link utili

Proteste violente e rivolte in America nell’estate 2020

https://www.latimes.com/politics/story/2019-08-05/kamala-harris-police-shootings-black-lives-matter

https://eu.usatoday.com/story/opinion/2020/08/31/riots-violence-erupting-turning-many-away-blm-and-protests-column/5675343002/

https://www.statista.com/statistics/585152/people-shot-to-death-by-us-police-by-race/

https://www.csmonitor.com/USA/Justice/2020/0828/Police-taught-a-simple-rule-You-don-t-shoot-a-perp-in-his-back

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