Politica delle identità, Gramellini e Mozart: bufale e fatti

Il gorgheggio della Regina della Notte nel Flauto Magico, celebre opera di Mozart, viaggia da oltre quarant’anni nello spazio profondo, a bordo della sonda Voyager. Insieme a 25 altre composizioni, che svariano dalle percussioni senegalesi ai canti dei nativi americani al jazz di Louis Armstrong, venne scelta come compendio linguistico del genere umano: la musica come mezzo per abbattere qualsiasi barriera, un ponte per unire le essenze più lontane. “Sul pianeta Terra siamo capaci di produrre queste armonie”, il messaggio implicito inciso sul disco dorato che in futuro potrebbe essere suonato da un grammofono extrasolare.

Quarant’anni dopo, probabilmente la scelta dell’Aria della Regina della Notte verrebbe rigettata: il personaggio del moro Monostatos, che nel Flauto Magico è capo degli schiavi, rappresenta lo stereotipo di un predatore di donne bianche; una caratterizzazione così spregevole tanto da suscitare il sospetto che il compositore di Vienna fosse razzista. Esistono studi accademici sulla questione: una conclusione non unanime, è che Mozart riflettesse la cultura eurocentrica e suprematista; la stessa che offrì basi antropologiche e morali alle colonizzazioni e alla tratta degli schiavi verso le Americhe.

Se un tempo questo scomodo aspetto si diluiva nella grandiosità dell’opera, oggi il Flauto Magico non può uscire indenne dalle valutazioni della politica identitaria: ovvero la critica della realtà attraverso le rivendicazioni di gruppi su base etnica, religiosa, di genere; un fenomeno che negli ultimi anni ha determinato importanti cambiamenti sociali, spesso attesi da decenni. E attacchi a monumenti del sapere, come l’Odissea di Omero, o il Mercante di Venezia di William Shakespeare.

In questo caso, si identifica nella messa in scena del Flauto Magico la perpetuazione di un razzismo sistemico che dura da quattrocento anni. Un giudizio non più trascurabile dallo scoppio di Black Lives Matter (BLM)- le vite dei neri contano, il movimento di denuncia per il trattamento ingiusto e brutale riservato ai cittadini dalla pelle nera.

Sul presunto razzismo di Mozart, che in vita ebbe una stretta amicizia con il nero Angelo Soliman, si è tornati a parlare in questi giorni dopo lo scoop del Telegraph; il quotidiano britannico ha reso noti documenti interni alla Oxford University sul dibattito intorno all’aggiornamento dei corsi di musica: siccome sono troppo eurocentrici, vanno integrati con studi più inclusivi sul piano etnico, culturale e geografico. Un accademico, citando gli sviluppi di BLM, avrebbe proposto di “decolonizzare il programma”, con tagli parziali allo studio dei compositori del canone classico, cioè Johan Sebastian Bach, Ludwig Van Beethoven e Wolfgang Amadeus Mozart; e di sorpassare la notazione musicale (occidentale), espressione del suprematismo bianco; la sua elevazione a canone universale, nei successivi secoli, sarebbe una reiterazione del razzismo.

L’articolo è stato ripreso da alcuni per criticare la politica identitaria, e la deriva a “cancellare” bagagli culturali, storici e politici ritenuti fondanti della società in cui viviamo – quella occidentale nel nostro caso. Bach, Mozart e Beethoven sono considerati nutrimento dell’evoluzione umana degli ultimi secoli fino ad oggi: legarli intrinsecamente al suprematismo significa contaminare quel cibo per l’anima che sono ad esempio le sinfonie o le opere liriche che hanno composto.

La Sinfonia n. 9 è l’inno ufficiale dell’Unione Europea: rappresenta i valori in cui ci riconosciamo e ci affratelliamo? Oppure, considerandone il presunto ruolo nel perpetuare il razzismo strutturale, diventa un motivo divisivo?

In Italia la notizia è stata ripresa dal Corriere della Sera con un provocatorio corsivo di Massimo Gramellini: il quale dà degli ubriaconi “a quei professori di Oxford che arrivano a sentire le vibrazioni del settarismo nel linguaggio più universale creato dall’uomo”. Il pezzo, intitolato “Quel razzista di Mozart“, enumera proposte che in realtà non sono state esplicitate: “come estirpare lo studio del pianoforte; o sostituire le sonate con il rap”. Il fatto poi che l’Università di Oxford volesse abolire il compositore viennese non è vero, come ha verificato un pezzo della Associated Press, basato su un comunicato stampa della stessa Università inglese; e citato anche dai debunker nostrani, che hanno dileggiato l’editorialista del Corriere.

Il problema però, è che Gramellini non si è inventato la notizia principale: cioè che in campo accademico, ormai, è stata sdoganata l’accusa che la Teoria Musicale, nata con Bach, Mozart e Beethoven, sia un cardine del razzismo strutturale della nostra società: e che ridimensionarla sul piano storico, culturale e artistico, è necessario per rendere il paesaggio sociale della nostra epoca più giusto ed equo. Va abbattuta quella che Chris White, docente di Teoria della Musica alla Amherst University, chiama la “deificazione” dei compositori del ‘700: un fenomeno che avrebbe trasformato un periodo della storia della musica nel linguaggio musicale universale; ed è il motivo per cui dopo oltre 200 anni vengono costantemente suonati nei teatri del mondo.

Il Direttore d’Orchestra afro-americano Brandon Keith Brown, in un pezzo intitolato Note sul Razzismo e il Suprematismo Bianco nella Musica Classica, fa una riflessione:

“La musica classica può cambiare la coscienza sociale razzista della società bianca. La musica classica è stata importata negli Stati Uniti: appartiene a tutti. Come progenitori del jazz e della musica pop, gli afro-americani hanno creato l’esportazione più identificabile della cultura americana. Si pensi a Beyoncé: se avesse le stesse opportunità della musica classica, la definiremmo un genere”.

Brown intende dire che è possibile mutare il razzismo sistemico più o meno conscio dei bianchi: ma uno dei punti di partenza è smitizzare la musica classica di Mozart e Beethoven; mettendoli sullo stesso piano di un’artista pop.

Non è un’invenzione di Gramellini che vi sia una tendenza spuntata con la politica identitaria: alla classica, nei corsi di musica, si vogliono accostare generi come il rap e il pop, dandogli la medesima importanza e legittimità. Un’operazione che non muove dalla semplice idea di allargare lo studio della musica, troppo eurocentrico; ma fa leva sul fatto che la musica classica europea non è patrimonio dell’umanità, ma dell’essere bianchi. Questo sarebbe uno dei motivi per cui l’accesso di studenti non-bianchi nelle accademie musicali, e di musicisti di colore nelle orchestre, è così limitato. Accuse che hanno spinto il pianista cinese Lang Lang e il violoncellista Sheku Kammeh-Mason, di origini afro-americane, a uscire allo scoperto: “Nella musica classica non ci sono pregiudizi”; semmai, spiega Kammeh-Mason, il problema è l’accesso dei ragazzi neri all’educazione musicale.”

Una visione diametralmente opposta a quella di Philip Ewell, Docente del Dipartimento di Musica alla Cuny University di New York, e autore del saggio-manifesto La Teoria musicale e la struttura razziale bianca. L’istruzione della musica classica nelle scuole, spiega Ewell, è fondamentalmente compromessa dal pensiero suprematista. E cita il musicologo Heinrich Schenker, ebreo nato sotto l’Impero Asburgico, che individuò nella musica tonale una struttura originale da cui lieviterebbero tutti gli accordi. L’analisi critica di Schenker è nei testi accademici in tutto il mondo e negli Stati Uniti in particolare; ma Schenker avrebbe anche espresso, in vita, idee suprematiste: sia in generale, sia riferite al suo campo di studio. Per Ewell è una conferma di come la musica classica abbia un ruolo fondante nel suprematismo bianco occidentale. Fin dalla stessa scrittura della musica, che ha fatto degli spartiti di Mozart e Beethoven il canone universale; e ultimamente, come menziona Alex Ross in un articolo del New Yorker, tutt’oggi strumento di esclusione razziale, visto che molti giovani di colore non hanno i mezzi per studiare, ad esempio, il pianoforte.

Nel comunicato stampa della Oxford University si spiega che nessuno “spartito verrà stracciato”; se per i debunker sembra ridicolo doverlo ripetere, in realtà è una rassicurazione rispetto a una dibattito esistente: modificare la notazione musicale occidentale perché rappresenterebbe solo la musica eurocentrica. Da poco, infatti, si stanno già accettando nei corsi di laurea in musica persone che non sanno “leggere” la “notazione occidentale”.

Come ha proposto il compositore Adam Neely, in un video YouTube visualizzato da 1 milione di persone in pochi mesi, la Teoria musicale dovrebbe essere denominata in realtà “stile armonico del XVIII secolo europeo”; il mantenimento dello spartito attuale è una deferenza verso compositori europei a cavallo di un’epoca suprematista: sarebbe auspicabile modificarla per facilitare lo studio di altre tradizioni musicali, e l’esecuzione di brani non eurocentrici.

Del resto nel suo comunicato stampa la Oxford University precisa che nessuno vuole sminuire o ridimensionare i compositori del ‘700; ma l’obiettivo è incorporare altre tradizioni musicali. E’ ancora Ewell, però, a spiegare il punto di arrivo minimo: aggiornare davvero i programmi, significa stralciare almeno la metà degli studi dedicati alla Teoria musicale.

Quando i debunker accusano Gramellini di essersi inventato bufale, in realtà non colgono il quadro più ampio del dibattito in corso: nessuno vuole abolire Mozart, ma c’è chi vuole ridefinire il ruolo della musica classica nella cultura occidentale; appioppandogli la corresponsabilità del razzismo strutturale che oggi, finalmente, si vuole abbattere una volta per tutte.

E’ un’accusa talmente grave che, se reiterata e inculcata senza una contestualizzazione, potrebbe rendere Mozart radioattivo, in nome di una correttezza politica, nel giro di pochi decenni.

Nel suo saggio Ewell spiega come la musica classica sia così funzionale alla perpetuazione del suprematismo, che suo padre John, un matematico, rigettava la “cultura nera”, ma ammirava proprio il compositore viennese.

L’idea che un uomo, amando la musica classica, venisse influenzato negativamente da una cultura che non rappresentasse le sue radici, è la stessa che portò il dittatore fascista Benito Mussolini a vietare il jazz in Italia, perché la tradizione afro-americana contaminava la “purezza della razza”.

Lo stesso tipo di ragionamento viene sviluppato nell’articolo del New Yorker: si stigmatizzano gli apprezzamenti di Martin Luther King verso Gaetano Donizetti, e la venerazione di W.E.B. Du Bois per Richard Wagner; il leader dei diritti civili e il celebre sociologo, giganti nella lotta di emancipazione dei neri negli Stati Uniti, avrebbero adottato la musica classica, più o meno inconsciamente, per essere meglio accettati come interlocutori dalla classe dominante, quella bianca.

L’arbitrarietà di questo approccio critico, per quanto legittimo, è tale che si potrebbe coniare il termine di polizia delle emozioni. Emozioni che sono l’impalpabile effetto della musica: elevare la nostra dimensione interiore, allargarla fino a connetterci con il respiro cosmico.

E quali sentimenti può far nascere l’ascolto dell’Aria della Regina della Notte, nella mente e nel cuore di una specie aliena? Forse l’umanità non lo saprà mai, visto che potrebbe estinguersi molto prima che il Voyager sia raccolto da una civiltà extra-solare; ma è la domanda giusta: Mozart è davvero un linguaggio universale che ci unisce al di là delle barriere? Oppure è una musica come un’altra, paragonabile a un disco di pop-music. O forse è molto peggio, inquadrabile come strumento di oppressione. Sono domande che possono far sorridere i debunker di Gramellini: ma questo fa parte del dibattito odierno intorno alla musica classica.

di Cristiano Arienti

In copertina: Il disco dorato del Voyager –

Fonti e Link utili

La Teoria della musica e la struttura razziale bianca” – saggio-manifesto di Philip Ewell, Docente del Dipartimento di Musica della Cuny University, NY

https://hcfaulwell.medium.com/the-magic-flute-an-educational-opportunity-dc1409458753 – Il Flauto Magico di Mozart, un’opera razzista

Una analisi critica del Flauto Magico e sulla caratterizzazione di Monostato

https://www.npr.org/sections/deceptivecadence/2019/09/20/762514169/why-is-american-classical-music-so-white

https://nmbx.newmusicusa.org/its-time-to-let-classical-music-die/ E’ tempo di lasciar morire la musica classica

https://www.grammy.com/grammys/news/canon%C2%A0-racist-how-collective-black-musicians-are-exposing-racism-classical-music

https://en.wikipedia.org/wiki/Music_theory

https://www.diapasonmag.fr/a-la-une/zhang-zhang-non-la-musique-classique-n-est-ni-raciste-ni-sexiste-32317

https://www.lefigaro.fr/vox/culture/etats-unis-la-musique-classique-est-elle-un-privilege-des-blancs-et-des-asiatiques-20200621

Could Covid cure Classical Music? – Appello ad affrontare l’eredità razzista di molti compositori considerati dei geni: da Dvorak a Puccini a Wagner; e alla deconolizzazione della musica classica.

Note sul razzismo e il suprematismo bianco nella musica classica

https://www.wbur.org/hereandnow/2020/09/14/classical-music-race-conductor

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