Referendum in Grecia: il rischio è l’uscita dall’Ue

Per i greci il referendum di domenica 5 luglio apre su due universi paralleli: se vince il “Sì”, Atene rimarrà nell’Unione europea; a costo di subire ancora l’austerity, politica che ha colpito in modo drammatico l’economia e lo stato sociale del Paese. Se invece la spunta il “No”, la Grecia verrebbe spinta fuori dall’Europa, e il prezzo sarebbe il collasso dello Stato ellenico.

Questa è la visione dei duecento cittadini greci che si sono riuniti oggi davanti al Parlamento dell’Unione europea, a Bruxelles, in supporto del “Sì”; raduno concomitante con l’oceanica manifestazione in patria, dopo che nella giornata di ieri erano scesi in piazza i sostenitori del “No”.

Gli organizzatori hanno affermato che la manifestazione non ha padrini o riferimenti politici, sebbene aleggiasse l’ombra di Antonis Samaras, l’ex premier che dal 2012 al 2015 ha negoziato le imposizioni della Troika (Fmi, Eurogruppo e Bce), traducendole in riforme che in pochi anni hanno innalzato la disoccupazione al 25%, hanno tagliato gli stipendi e i dipendenti statali, e gettato nella disperazione ampie fasce della società.

Bruxelles cittadini Greci

Panayota, a destra

Panayota, una degli organizzatori del raduno, ha confermato che la vittoria dei “No” significa l’uscita della Grecia dall’euro e dall’Europa: si vanificherebbero gli enormi sacrifici del popolo greco; e cancellerebbe la speranza di ammodernare un Paese incancrenito dalla corruzione e dipendente dall’assistenzialismo. Poi la donna lancia accuse pesantissime al Premier Alexis Tsipras: “ha indetto il referendum per salvare la sua carriera politica, dopo il fallimento della sua tattica di scontro frontale con la Troika; e in più, secondo Panayota e una fetta dei cittadini ellenici, Tsipras sarebbe funzionale a un piano per far uscire la Grecia dall’Unione europea.” E liberarsi una volta per tutte del debito insormontabile di oltre 330 miliardi di euro.

A Panayota faccio notare che già l’ex Premier George Papandreou, nell’autunno del 2011, aveva avanzato l’ipotesi di un referendum: far decidere ai greci se accettare il piano di riforme della Troika. L’organizzatrice del raduno ammette che “allora avrebbe avuto senso quel referendum; non dopo anni di sacrifici e, parole sue, con una lieve ripresa.”

All’epoca il referendum non si fece perchè un “No” avrebbe accelerato la crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona; si palpava il terrore che venissero irreversibilmente contagiati gli altri Paesi mediterranei: il grande malato non era certo la Grecia, ma l’Italia, con un debito di quasi 2.000 miliardi di euro, e oggetto di un attacco speculativo di vasta scala sui mercati. Solo l’operato del Direttore della Bce Mario Draghi salvò l’Eurozona: dalla celebre frase “faremo qualsiasi cosa”, fino all’immissione di oltre 1 trilione di euro nelle banche europee.

Intanto, in quell’autunno infuocato, Papandreou ritirò la proposta del referendum: si dice perchè ricattato dalla Francia; Parigi possedeva la lista Falciani degli evasori in Svizzera: una familiare del Premier aveva conti nella Hsbc per mezzo miliardo di euro.

E’ di questa classe dirigente cleptomane che Panayota vorrebbe liberarsi. Tuttavia, le chiedo, come farà la Grecia a onorare i suoi debiti entro il 2050, quando le ricette della Troika hanno disastrato il Paese, e rischiano di tenerlo in vita artificialmente? Solo per ripagare i Creditori? La soluzione, avanzo provocatoriamente, non potrebbe essere una cancellazione del debito una volta per tutte? Almeno per quanto riguarda l’esposizione dell’Eurozona? Un po’ come gli Stati Uniti, nel 2008, avevano immesso nelle banche Usa 700 miliardi di dollari (Tarp) per coprire un buco di eguale portata, causato dalla bancarotta della Lehman Brothers.

“Nessuno in Grecia vuole il tipo di austerity che ci è stata inflitta negli ultimi anni; tuttavia per ora non c’è alternativa al pagamento del debito. E se dovessimo implementare le riforme che ci vengono richieste, portando il Paese a un livello finalmente europeo, forse qualcosa ci verrà condonato. Per questo dobbiamo votare “Sì” al referendum: per continuare a sperare.”

di Cristiano Arienti

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