I Bush, i Clinton, e lo scandalo Iran-Contra: una parabola americana – Parte 2/2

“Signor Clinton, quando era governatore dell’Arkansas sapeva che gli aerei della Cia con base Mena trasportavano armi in Centro-America, per supportare i Contra? E che ritornavano negli Stati Uniti carichi di cocaina? Forse George Bush e Oliver North le avevano chiesto di non intervenire per motivi di sicurezza nazionale, anche se quella cocaina poi era venduta in tutto il Paese?”

Ecco le domande a bruciapelo che la corrispondente alla Casa Bianca Sarah McClendon pose al Presidente Bill Clinton, durante una conferenza stampa nel 1994.

Clinton, dopo una breve pausa, diede questa risposta: “No, non ne sapevo nulla. Tutte le questioni legate a quell’aeroporto sono state investigate da organi statali e federali dell’Arkansas; erano sotto la giurisdizione del Governo Federale, lo Stato non centrava nulla in quella faccenda. Le precedenti amministrazioni hanno indagato; noi non avevamo nulla a che fare con questa cosa, lo sanno tutti.”

Barry Seal e la Mena Connection

Alle pendici dei monti Ouachita, Mena è una cittadina a circa 100 chilometri da Little Rock, la capitale dell’Arkansas; negli anni ’80 il suo aeroporto, l’Inter-Mountain Regional Airport, è stato citato nella Sub-Commissione sul narco-traffico del 1988; che a sua volta ha aperto la strada alle indagini sulla BCCI, definita dal Time la banca più criminosa del mondo.

Mena comparve sui mezzi di informazione per le vicende di Barry Seal, un noto trafficante di droga originario della Louisiana. Nel 1982, anno della seconda rielezione di Bill Clinton come Governatore, Seal aveva trasferito la sua base operativa proprio in Arkansas: possedeva una mini-flotta di aerei con i quali, nell’arco di quattro anni, importò tonnellate di droga dalla Colombia agli Stati Uniti con tappe in Centro-America. Ma questo è solo uno dei capitoli della sua vita avventurosa.

Barry Seal, leva 1939, acquisì la licenza da pilota a sedici anni, e in quel periodo si unì alla Louisiana Civil Patrol capitanata da David Ferrie; tramite l’uomo poi implicato nel processo per l’assassinio di John F. Kennedy, Seal entrò a far parte delle operazioni segrete legate a Cuba. Tra la fine degli anni ’50 e i ’60 Seal trasportò uomini e armi nell’isola caraibica, e faceva la spola tra i campi di addestramento anti-castristi in Guatemala, Florida e Louisiana. Secondo testimonianze credibili, Seal era un asset della JM/WAVE di Miami durante la fallita invasione di Cuba nel 1961, e avrebbe fatto parte di “Operation 40“: una fotografia del gennaio 1963, trovata negli archivi di Seal, lo ritrae insieme a Felix Rodríguez e altri componenti del gruppo supervisionato da Ted Shackley.

Nel 1962 entrò nel 21° Gruppo delle Forze speciali, operando nel Centro e nel Sud-America; dopo un’esperienza nell’esercito, Seal fu assunto dalla compagnia aerea TWA. Contemporaneamente, tra il ’67 e il ’68, pilotò alcuni dei voli Air America tra Indocina e Stati Uniti, nel quadro delle operazioni Cia dirette da Ted Shackley.

Nel 1972 Seal venne arrestato a New Orleans mentre si accingeva a decollare su un DC-4 con 7 tonnellate di esplosivo plastico e un detonatore: avrebbe dovuto trasportare la bomba a Città del Messico, e consegnarla a ex agenti della JM/WAVE di Miami impegnati a rovesciare il regime castrista. Dopo due anni Seal, nonostante l’arresto in flagrante, venne prosciolto; l’Fbi lo difese dichiarando che agiva sotto-copertura.

L’arresto gli costò il posto in TWA; da quel momento cominciò per lui la carriera come trafficante internazionale di droga. Nel 1981 si unì al Cartello di Medellìn, diventando uno dei piloti al servizio della famiglia Ochoa; tuttavia quell’anno dovette abbandonare la sua base operativa, la natia Baton Rouge, perché le autorità della Louisiana lo braccavano per traffico di droga e frode fiscale.

Per questa ragione nel 1982 Seal, ufficialmente, trasferì l’attività in Arkansas; rinnovò la sua flotta con aerei che, secondo i registri della Faa (Federal Aviation Administration) erano appartenuti a società legate a Air America. In Louisiana Seal, volando radente, paracadutava pacchi di droga, raccolti poi da dei complici; questo tipo di voli è stato registrato anche nella Saline County, vicino a Mena. Di sicuro Seal, in quei primi anni, riciclò almeno 800.000 dollari attraverso la Rich Mountain Aviation, società a cui si appoggiava, depositandoli negli sportelli della Union Bank di Little Rock.

Le attività sospette di Seal non passarono inosservate alle autorità dell’Arkansas; lo sceriffo Al Hadaway e il detective Russell Welch cominciarono a indagare, scoprendo sotterfugi tipici dei contrabbandieri internazionali: doppiare il codice di registrazione di un aereo, o aumentare la capienza dei serbatoi per viaggi più lunghi. La presenza di Seal diventò pesante dal 1984, quando al pilota vennero prospettati 10 anni di prigione da una Corte di Fort Lauderdale, Florida, per un traffico di metaqualone.

Il narcotrafficante del Cartello di Medellìn e due futuri Presidenti degli Stati Uniti

Per evitare la prigione, Barry Seal decollò con il suo Lear Jet e atterrò a Washington: il suo avvocato Richard Ben-Veniste gli aveva fissato un appuntamento presso gli uffici del Vice-Presidente George H. W. Bush. In una sessione a porte chiuse della Anti-Drug Task Force, si auto-accusò di essere un pilota del Cartello di Medellìn, dicendosi pronto a collaborare. Seal diventò ufficialmente informatore della Dea: non solo il contrabbandiere non finì in prigione, ma gli venne concesso un permesso speciale dal National Narcotics Boarder International System per continuare a volare all’estero.

Da quel momento le attività di Seal a Mena, tra il 1982 e il 1984, diventarono materia di “sicurezza nazionale”.

Seal non solo andò avanti con i suoi traffici ma allargò il suo parco aerei grazie alla collaborazione con la Anti-Drug Task Force: acquisì un C123K da una società legata ad Air America. Con quel cargo Seal, d’accordo con la Dea di Miami, organizzò una trasferta in Colombia, fermandosi poi, per una rocambolesca serie di eventi, in Nicaragua, e precisamente a Managua; lì, immortalò Pablo Escobar, boss colombiano, e Federico Vaughan, presunto rappresentante del governo sandinista, mentre caricavano casse di droga sull’aereo poi diretto in Florida.

I vertici della Dea, in seguito, non avrebbero mai corroborato la tesi che vi fosse un legame tra Sandinisti e narco-traffico; permangono molti dubbi sul fatto che Seal fosse in Nicaragua e non a Panama.

Il carico di droga venne intercettato a Miami, e furono arrestati due referenti del Cartello di Medellìn. Per i boss Escobar e Ochoa, invece, partì un ordine di estradizione per traffico internazionale di stupefacenti. L’NSC di Oliver North passò alla stampa la notizia dell’operazione” della Dea; rendendola pubblica, venne “bruciato” il ruolo di Barry Seal. Ma all’NSC interessava spingere il Congresso a prendere misure repressive nei confronti dei Sandinisti, e ottenere fondi per lanciare un’offensiva contro il Nicaragua.

In realtà Mena aveva attirato l’attenzione dell’NSC ben prima del 1984. Secondo la testimonianza dell’ex pilota di Air America Terry Reed, la NSC aveva scelto l’aeroporto dell’Arkansas come base operativa almeno fin dal 1983. Fu Oliver North a reclutarlo nell’operazione Black Eagle, a presentarlo a Barry Seal e, successivamente, a Felix Rodriguez. Nel gennaio del 1984 Reed individuò un terreno nella zona di Nella, sui monti Ouachitas, dove venne approntata una pista aerea simile a quelle della campagna centro-americana; lì vennero addestrati a volare una ventina di Contra. Che Reed avesse partecipato sotto-copertura ad attività della Cia, venne confermato nel 1990 da una Corte distrettuale dell’Arkansas, nella causa civile tra Reed e Buddy Young, Capo della Guardia della Sicurezza del Governatore Clinton.

Reed non è stato l’unico a descrivere le attività di Seal in relazione all’NSC e all’operazione Iran-Contra: nel 1987 il pilota Micheal Tolliver raccontò, sotto interrogatorio, di aver lavorato per Seal, trasportando armi in Centro-America, e tornando con pacchi di droga. Anche un membro della Guardia della Sicurezza di Clinton, lo State Trooper L.D. Brown, confessò di essere stato arruolato dalla Cia, e di aver volato due volte con Seal in Centro-America: con carichi di armi all’andata, e cocaina al ritorno. Brown confermò che le attività di Mena facessero parte dell’operazione di supporto ai Contra gestito da North a Washington e da Felix Rodríguez in Centro-America.

Per quanto la versione di Brown abbia dell’incredibile, l’ha raccontata sotto giuramento davanti a una Commissione d’inchiesta. E nel 1996, davanti alla Commisione degli Affari Bancari della Camera, impegnata in un’indagine a tutto campo su Mena, l’Ispettore Generale della Cia Hitz confermò la domanda di Brown per entrare nell’Agenzia.

Anche sul capitolo armi ci sono state delle conferme ufficiali; nel 1993 William Holmes, un fornitore della Cia, dichiarò sotto giuramento di aver venduto a Seal una partita di 250 pistole automatiche, e di averne prodotta un’altra da 140.000 dollari. Nel 1985 un’altra azienda dell’Arkansas, la P-O-M, destinò un reparto all’assemblaggio di armi automatiche per conto della Ivers Johnson, un fornitore della Cia. Un’operazione oscura, giacché la ditta produceva parchimetri.

Dal 1983-84 l’Arkansas, come lo ribattezzò il corrispondente del Sunday Telegraph Ambrose Evans-Pritchard, diventò un “narco-Stato” all’interno degli Stati Uniti: era uno snodo del traffico di armi messo in piedi dall’Nsc, utilizzato anche per contrabbandare droga. Se da Mena partivano aerei della Cia per trasportare armi ai Contra, sempre in Arkansas l’emendamento Boland venne aggirato anche alla luce del sole: il Governatore Clinton, su invito dell’amministrazione Reagan-Bush e ignorando il Congresso, inviò una rappresentanza della Guardia Nazionale in Honduras, che poi “dimenticò” laggiù un arsenale di armi.

E come ogni “narco-Stato” che si rispetti, anche l’Arkansas aveva approntato un sistema per riciclare la montagna di soldi ricavata dal traffico di droga; questa è la conclusione a cui è giunto, tra gli altri, Roger Morris, ex collaboratore del Dipartimento di Stato sotto Henry Kissinger, e autore di Partners in Power, biografia dei Clinton.

La macchina da soldi dei Clinton: dall’ADFA alla BCCI

Secondo una stima di William Guste, General Attorney della Louisiana, dal ’78 al ’86 Barry Seal aveva importato droga negli Stati Uniti per un valore approssimativo tra i 3 e i 5 miliardi di dollari dell’epoca. In Arkansas, il trafficante visse il suo periodo più redditizio. Come ha riferito Morris, all’epoca lo Stato governato da Clinton era uno dei più poveri degli Usa; allo stesso tempo era terreno fecondo per corruzione e attività illecite. Era vero, in particolare, per i magnati e imprenditori che finanziarono le campagne elettorali di Bill Clinton, in cambio di appalti e protezione in sede giudiziaria: da Jim McDougall a Don Tyson a Dan Lasater.

Quest’ultimo nel 1983 fondò una società di brokeraggio, la Lasater & Co.; da subito, sotto l’impulso dell’entourage di Clinton, una società nata dal nulla venne selezionata per sottoscrivere titoli emessi dall’Arkansas per 30 milioni di dollari; lo Stato girava quei soldi come prestiti per nuovi alloggi (AHDA); una percentuale degli interessi finiva poi in tasca a Lasater e soci.

Lo schema funzionò così bene, che nel 1985 Clinton istituì l’ADFA, un’agenzia per lo sviluppo di progetti per l’occupazione, in grado di emettere titoli di Stato assicurati dai contribuenti dell’Arkansas; l’operazione venne approvata dal Giudice della Corte Suprema dello Stato, Web Hubbell, e architettata dal Rose Law Firm, lo studio legale dove lavorava Hillary Clinton, e di cui lo stesso Hubbell era socio.

Il primo beneficiario dei prestiti ADFA, per una cifra di oltre 2 milioni di dollari, fu proprio la P-O-M, l’azienda che stava assemblando armi automatiche per conto di un fornitore della Cia.

In pochi anni la Lasater & Co sottoscrisse titoli ADFA per 664 milioni di dollari; in seguito saltò fuori che decine di milioni di dollari venivano riciclati attraverso i conti di ignari clienti dell’agenzia; come ad esempio Dennis Patrick, intestatario di un conto su cui erano transitati 107 milioni di dollari.

Lasater, nel 1986, venne indagato per distribuzione di droga e corruzione di minorenni, sebbene le indagini puntassero a un complesso traffico di cocaina; un giro nel quale era coinvolto anche Roger Clinton, fratello del Governatore, impiegato presso Lasater.

La gestione della Lasater & Co. passò alla Vice-Presidente Patsy Thomasson. A tutt’oggi non è mai stata chiarita l’origine di quelle centinaia di milioni di dollari, sebbene vari testimoni sotto giuramento, come lo State trooper L.D. Brown, abbiano descritto un opaco rapporto d’affari tra Barry Seal e Lasater, di cui Clinton ne sarebbe stato al corrente. Una versione in parte confermata, sotto giuramento, da Larry Patterson, un altro membro della Sicurezza del Governatore.

Nella sottoscrizione dei titoli dell’ADFA, accanto alla Lasater & Co., partecipò anche Jackson Stephens, presidente di una delle più grandi banche d’investimento d’America, la Stephens Inc.. Il quartier generale di Stephens era Little Rock, e lo studio legale che controllava i suoi affari era proprio il Rose Law Firm. Già dalla fine degli anni ’70 Hillary Clinton e Web Hubbell avevano supportato Stephens durante le scalate alla National Bank of Georgia e alla First American; il socio occulto di Stephens si rivelò essere proprio la BCCI, la banca che annoverava tra i correntisti Escobar, Millian Rodriguez, Noriega, Saddam Hussein, Bin Laden, Abu Nidal, e ogni risma di criminali.

La banca era presieduta da Clark Clifford, che nel 1947, sotto il Presidente Harry Truman, contribuì a definire il quadro legale della nascente Cia. La BCCI, i cui maggiori azionisti erano emiri di Abu Dhabi e magnati pakistani, veniva utilizzata dalla Cia stessa per finanziare mercenari, controrivoluzionari, pagare trafficanti di armi, sostenere dittatori.

Nel 1984 la Stephens Inc, con soci della BCCI al 10%, fondò la Worthen Bank; è l’istituto di Little Rock che nel 1991-1992, durante la campagna elettorale per la Casa Bianca, aprì una linea di credito a favore di Bill Clinton per diversi milioni di dollari. E se Stephens cominciò a finanziare la campagna elettorale di Clinton già dal 1990, prima si era prodigato ad aiutare il figlio dell’avversario: nel 1987 aveva negoziato il salvataggio da 25 milioni di dollari della Harken, la società petrolifera di George W. Bush; i soldi appartenevano a un emiro, ed erano stati accreditati proprio dalla BCCI.

Quasi tutti i titoli dell’ADFA, anche di quelli sottoscritti dalla Lasater & Co. e dalla Stephens Inc., erano stati firmati dal Governatore in persona.

Quando Clinton diventò Presidente degli Stati Uniti, si portò alla Casa Bianca tutti gli attori principali di un’operazione da centinaia di milioni di dollari, con depositi alle Isole Cayman:

Patsy Thomasson, della Lasater & Co., entrò nello Staff presidenziale;

Bob Nash, Presidente dell’ADFA, fu nominato Capo del Personale;

Web Hubbell, socio del Rose Law Firm e Giudice della Corte Suprema dell’Arkansas, diventò vice-segeratrio della Giustizia;

Vince Foster, partner di Hillary Clinton al Rose Law Firm e custode dei segreti di Little Rock, divenne consigliere speciale della Casa Bianca.

Il buco nero di Mena nelle inchieste

Chi non riuscì a sfuggire ai guai giudiziari fu Barry Seal. La fama acquisita, e i riflettori sulle sue attività a Mena, lo trasformarono in un personaggio prezioso e al tempo stesso scomodo. Aveva già permesso di catturare alcuni trafficanti, e le sue deposizioni in un tribunale avrebbero incastrato i boss colombiani Jorge Ochoa e Pablo Escobar. Rappresentava anche la fonte per denunciare l’alleanza tra Cartello di Medellìn e Sandinisti, e aprire la via a un intervento punitivo in Nicaragua. Però lui stesso alimentava le voci del suo coinvolgimento in operazioni segrete del governo Usa.

Seal, anche grazie alla pubblicità del suo status di informatore, sperava di rimanere libero. Nel 1985, infatti, la Corte della Florida estinse il reato per traffico di metaqualone, sospendendo anche una pena accessoria di 6 mesi di semi-libertà. Nel gennaio del 1986 Seal patteggiò con il General Attorney della Louisiana; inaspettatamente, il giudice applicò la pena della semilibertà: ingiunse a Seal di pernottare in una comunità di Baton Rouge, rendendolo un bersaglio facile per la vendetta dei suoi tanti nemici.

Seal aveva rinunciato al programma di protezione per i testimoni nel 1984; tuttavia, di fronte alla certezza che volevano farlo fuori, l’Anti-Drug Task Force di Bush non gli fornì nessuna protezione speciale in Louisiana. Nel febbraio del 1986 Barry Seal, solo e abbandonato al suo destino, venne freddato da un commando di colombiani. Lasciò moglie, due figli, e un’evasione fiscale da 86 milioni di dollari. Gli assassini materiali vennero presi in poche ore: l’arma del delitto era stata acquistata nel negozio di José Coutin, attivista del CMA, un gruppo pro-Contra di Miami.

L’esecuzione del testimone chiave contro il Cartello di Medellìn fece scalpore; il Segretario alla Giustizia Edwin Meese parlò di un cortocircuito fra giurisdizioni. Poche settimane dopo il Presidente Ronald Reagan apparve in diretta televisiva, mostrando le foto scattate da Seal a Managua nel 1984, ma senza mai nominare il pilota appena deceduto; le immagini vennero descritte come la prova madre che il Nicaragua dei Sandinisti era uno snodo della droga destinata agli Stati Uniti. Se quelle foto avevano avviato la discussione di un concreto sostegno degli Usa ai Contra, l’abbattimento del C123K da cui erano state scattate lo cancellò.

Lo scoppio dello scandalo Iran-Contra bloccò temporaneamente le attività sospette intorno all’aeroporto di Mena.

Intanto a Washington il Segretario alla Giustizia Meese dettò la linea per esonerare da ogni responsabilità Reagan e Bush.

E proprio su Meese cominciò a pendere il sospetto di pressioni sui giudici federali dell’Arkansas per insabbiare il caso Mena: nel 1985 Asa Hutchinson, futuro Direttore della Dea, e nel 1986 Mike Fitzhugh, lasciarono cadere nel vuoto le prove sul traffico di droga di Seal, raccolte dallo sceriffo Al Hadaway e dal detective Russell Welch; anche quelle acquisite dall’ispettore dell’Irs Bill Duncan sul riciclaggio di denaro sporco operato da Seal vennero ignorate.

Nel 1987 si interessò della questione Charles Black, Vice-Prosecutor dello Stato dell’Arkansas; Black chiese per iscritto a Clinton i fondi per indagare sui traffici opachi della Cia a Mena; nel piccolo scalo montano, quell’anno, erano giunti altri aerei cargo a nome di un’azienda australiana con appalti poco chiari. Dal Governatore non pervennero risposte, tanto meno soldi.

Nell’87 anche Jean Duffey, Prosecutor federale, cominciò a indagare sul traffico di cocaina in Arkansas; smascherò la complicità di molti agenti della Polizia di Stato, e puntò il dito contro Mena; da quel momento fu oggetto di minacce e intimidazioni da parte di Dan Harmon, il District Attorney della Contea; se Duffey, isolata dalle istituzioni, fu costretta a lasciare l’incarico e l’Arkansas, Harmon finì in prigione nel 1997 per traffico di droga ed estorsione.

Dal 1988 toccò al Rappresentante del Congresso Bill Alexander farsi portavoce per l’apertura di un’inchiesta federale, anche alla luce del rapporto della Sub-Commissione sul narco-traffico; due anni dopo ottenne un fondo per aprire l’inchiesta statale, ma i soldi vennero rimandati indietro dall’ufficio della Polizia dell’Arkansas. Lo stesso ufficio dove, nel 1988, vennero distrutti parte dei documenti delle indagini dell’Irs e della Polizia sulle attività di Barry Seal: servivano agli avvocati di Terry Reed, impegnato nella causa civile per dimostrare il suo ruolo nell’operazione Black Eagle.

Nel 1989 un comitato di cittadini dell’Arkansas fece pervenire a Bill Clinton una petizione per indagare su Mena; alla domanda si unì il neo Attorney General dell’Arkansas Winston Bryant. Il Governatore ribadì promesse di apertura del caso con adeguati finanziamenti, ma di fatto non mosse un dito.

Sebbene alla giornalista Sarah McClendon, nel 1994, avrebbe detto il contrario, Bill Clinton di fatto ostacolò le inchieste intorno al piccolo aeroporto dell’Arkansas.

Al Rappresentante del Congresso Alexander non rimase che consegnare i faldoni su Mena a Lawrence Walsh, membro indipendente della Commissione Iran-Contra; tuttavia Walsh si disinteressò di quella battaglia, spiegando che l’argomento droga-riciclaggio non era di sua competenza: tentava di dimostrare che Reagan e Bush erano al corrente delle operazioni dell’NSC in Nicaragua e in Iran. Nel 1992 Walsh vinse la sua di lotta, quando un Giuria stabilì la perseguibilità di Meese, che aveva coperto la Casa Bianca; una vittoria a metà, visto che George H. W. Bush, nei suoi ultimi giorni da Presidente Usa, perdonò tutti, compreso se stesso.

Le sabbie mobili delle Commissioni di Inchiesta e la memoria corta nelle Campagne Elettorali

Durante la Commissione sull’Iran-Contra del 1987, a North venne domandato se fosse a conoscenza di traffici di droga verso gli Usa nelle operazioni di supporto ai Contra: il Colonnello chiese di parlare della questione a porte chiuse. Nel rapporto finale da oltre 900 pagine, la parola “droga” non compare nemmeno una volta.

Non c’è un esempio migliore per capire come una Commissione d’Inchiesta, negli Usa, metta al primo posto un’idea di “sicurezza nazionale”, e in secondo ordine le indagini su veri e propri crimini. Nel caso specifico, quella sull’Iran-Contra era co-presieduta da Lee Hamilton; lo stesso Senatore che aveva guidato la Commissione sull’October Surprise, per appurare i sospetti che Reagan e Bush, da semplici cittadini, avessero intralciato la politica estera della Casa Bianca.

Come detto, nel 1981 Hamilton decretò che non ci fossero prove sufficienti per confermare le accuse al neo-Presidente Usa e al suo Vice. Nel 1987, invece, concluse che Reagan e Bush erano all’oscuro di una delle più intricate operazioni di Intelligence mai escogitate negli uffici del National Security Council, con una decina di Stati sovrani coinvolti, e durata almeno due anni.

La funzionalità di Hamilton a pilotare in un certo modo le Commissioni d’Inchiesta era una garanzia; tanto che nel 2003 fu nominato Vice-Presidente della Commissione dell’11 Settembre; qualche mese dopo il Senatore Max Cleland si dimise “disgustato e scandalizzato“, accusando l’amministrazione Bush-Cheney di insabbiamento. Il Rapporto finale della Commissione stabilì che l’Intelligence Usa non aveva previsto gli attacchi terroristici per “una mancanza di immaginazione”.

In realtà la Commissione sull’11 Settembre, tra i cui 11 membri c’era Ben-Veniste, ex avvocato di Seal, fu ostacolata in tutti i modi dal Vice-Presidente Dick Cheney: dall’idea stessa di costituirla, fino al termine dei lavori.

Lo stesso Dick Cheney che nel 1987 era stato membro della Commissione Iran-Contra, e aveva pilotato molte delle udienze dei testimoni: in primis quelle di Felix Rodriguez, uomo di fiducia di Bush in Salvador, e di Robert Gates, il Direttore della Cia pro-tempore dopo la morte di William Casey, e futuro Direttore sotto la Presidenza di George H. W. Bush.

Anche Cheney, nel ’74 capo di gabinetto del Presidente Gerald Ford, nel 1989 venne “premiato”, con la nomina a Segretario alla Difesa; da quella posizione consolidò il suo potere, e insieme al suo consigliere Paul Wolfowitz architettò la politica estera americana come la conosciamo oggi (Pnac).

Una politica che John Kerry ha tentato di fermare, quando sfidò George W. Bush nella corsa alla Casa Bianca nel 2004. Durante quelle elezioni l’attacco al candidato democratico si concentrò su un concetto portante: Kerry era il meno adatto a contrastare il terrorismo di matrice islamica, tema caldo ad appena tre anni dall’11 Settembre.

Eppure proprio John Kerry, da Presidente della Commissione Esteri, era stato il politico più spietato contro i gruppi criminali e terroristi, bloccando un privilegiato canale finanziario. Nel 1992 il Senatore produsse un rapporto d’indagine sulla BCCI, e il ruolo della banca nell’acquisto di armi da parte dei mujaeddin di Osama Bin Laden e i palestinesi di Abu Nidal. Kerry svelò che attraverso la BBCI il Pakistan si era dotato dell’atomica, e Saddam Hussein dei laboratori per sviluppare le armi batteriologiche.

Il Direttore della Cia William Casey, scelto da Reagan e Bush, aveva avuto una partecipazione attiva nelle oscure operazioni della banca; questo emergeva chiaramente dal Rapporto sulla BCCI. Tuttavia Robert Mueller, assistente del Segretario alla Giustizia e titolare dell’indagine, scagionò sia Casey che l’Agenzia; lo Stesso Robert Mueller che il 4 settembre 2001 si insediò come Direttore dell’Fbi.

Grazie anche alle indagini di Kerry la banca venne chiusa; sebbene fosse venuto a galla il ruolo di Jackson Stephens nello scandalo BCCI, il banchiere dell’Arkansas e i suoi istituti non vennero ricollegati alla Mena Connection, documentata dal Rappresentante Bill Alexander.

Kerry, nel Rapporto della Sub-Commissione del 1989, aveva citato Barry Seal, ma non in relazione al contrabbando di droga e alle operazioni di riciclaggio; puntava il dito contro l’Nsc per aver “bruciato” un informatore impegnato in operazioni della Dea.

Del resto, la Mena Connection, o in generale il Contragate, erano destinati a rimanere fuori dai radar non certo per proteggere la “sicurezza nazionale”, come ammise Kerry, ma per tenere in piedi le istituzioni americane: secondo attenti analisti, è il motivo per cui Michael Dukakis, nel 1988 candidato democratico alla Casa Bianca, evitò di sollevare la questione nella sfida contro George H. W. Bush; questo, nonostante i lavori della Sub-Commissione sul narcotraffico alludessero a responsabilità del Vice-Presidente nel Contragate.

Pur con le sue cautele nei confronti della Cia, il Rapporto della Sub-Commissione era un documento esplosivo: si domandava chi della Nsc aveva subappaltato aziende che importarono droga negli Usa; chi aveva dispensato il personale di queste aziende dai controlli anti-droga negli scali americani, militari e civili; si domandava chi era aveva autorizzato queste operazioni. Eppure i mezzi di informazione, tranne rare eccezioni, ignorarono il Rapporto Kerry.

Chi si avvantaggiò dei lavori della Sub-Commissione, è un vero paradosso, fu il Presidente Bush; siccome il Rapporto finale incriminava Noriega come un alleato del cartello di Medellìn, nel 1990 gli Stati Uniti invasero Panama.

Nel corsa alla Casa Bianca del 1992, con Clinton e Bush entrambi compromessi nello scandalo, né i Contra né i traffici di droga a Mena o a Miami furono oggetto di dibattito. Non lo era stato nemmeno nelle primarie democratiche: secondo il candidato Jerry Brown toccava alla stampa tirare fuori un argomento così delicato. Forse era l’unica arma di Brown contro Bill Clinton, sospinto dal potente gruppo democratico di destra Democrats for the ’80, e dato per favorito dal main stream media ben 4 mesi prima della Convention del Partito. Di fatto la stampa scrutinò il Clinton donnaiolo più che il Clinton Governatore, ma non diede peso alle sue implicazioni con la BCCI o Mena.

E quando Gary Webb, nel 1996, resuscitò il Contragate con Dark Alliance, per la prima volta internet mostrò il suo potenziale come nuovo mezzo di informazione: le pagine on-line dell’inchiesta, pubblicata cartacea sul San Josè Mercury, vennero visitate da decine di milioni di persone; la miccia si accese, e la “bomba” esplose nella comunità afro-americana di Los Angeles. Come detto, il Direttore della Cia John Deutch si dimise, e la Commissione sull’Intelligence del Senato fu costretta a occuparsi del Contragate con una nuova indagine. A dieci anni di distanza, quello scandalo faceva ancora tremare i palazzi di Washington.

Il Presidente di quella Commissione era il Senatore della Florida Porter Goss, negli anni ’60 agente Cia operativo nella JM/WAVE di Miami. Anche Goss è salito i gradini della carriera politica a Washington: dopo aver co-presieduto la Commissione Interparlamentare sull’Intelligence dell’11 Settembre, nel 2004 è stato nominato Direttore della Cia da George W. Bush.

In verità ci fu un’indagine seria su Mena, aperta nel 1995 dalla Commissione sugli Affari Bancari della Camera. Il Presidente Jim Leach aveva raccolto tutti i documenti disponibili, richiedendo alla Cia un’indagine interna: nel 1996 l’Ispettore Generale Frederick Hitz, davanti alla Commissione, negò attività illegali da parte dell’Agenzia; confermò, però, che la Cia aveva sfruttato Mena come scalo negli anni ’80, anche per operazioni congiunte con altre agenzie.

Durante i lavori, nonostante le prove facessero pensare il contrario, sia Clinton che George H. W. Bush ne uscirono incolpevoli; già dal 1997 era nell’aria la candidatura alla Casa Bianca di George W. Bush. Senza contare che l’altro figlio, Jeb Bush, dal 1983 era un politico attivo in Florida, e in quel periodo si candidava a Governatore.

La Commissione degli Affari Bancari della Camera non produsse nessun documento conclusivo sull’indagine di Mena. La maggior parte dei mezzi di informazione considerava i fatti legati al piccolo aeroporto dell’Arkansas come eco di una stramba leggenda.

La Collusione dei Templi del giornalismo

Eppure il successo di Dark Alliance aveva dimostrato che l’opinione pubblica era assetata di quel tipo di notizie; Gary Webb, fino ad allora rispettato giornalista, fu invitato negli studi televisivi nazionali e conferenze prestigiose. Fu così che la sua inchiesta finì sotto la lente d’ingrandimento: nonostante fosse ben documentata, presentava un paio di errori concettuali in fase editoriale; ma il dramma vero, per Webb, fu di aver aperto gli occhi agli americani. Contro il giornalista del piccolo San José Mercury si scatenò una caccia all’uomo: il Washington Post, il New York Times e il Los Angeles Times rivoltarono l’inchiesta, bollandola come spazzatura. La reputazione di Webb, alla lunga, ne uscì a pezzi, e lui fu trattato come un paria. Nel 2004 l’autore di Dark Alliance, depresso e sbancato, si tolse la vita.

A dieci anni dalla morte di Webb, alcuni dei suoi critici hanno fatto mea culpa: l’inchiesta, pur difettosa in alcuni punti, aveva un impianto solido e valido. E proprio nel 2014 si è anche scoperto come la Cia considerasse Webb una seria minaccia; su Studies in Intelligence, rivista interna dell’Agenzia, è comparsa una revisione del caso Dark Alliance, dal titolo “Managing a Nightmeare – gestire un incubo“. Nelle sei pagine del documento l’autore Nicholas Dujmovic spiega le tattiche utilizzate per arginare i “danni” provocati da Webb: fornire a giornalisti compiacenti dettagli che potessero invalidare la narrativa dell’inchiesta, sminuirne i risultati, minare la credibilità dello stesso giornalista. Tattiche ereditate da “Operazione Mockinbird”, quando la Cia assoldava agenti all’interno delle redazioni per promuovere propaganda e ostracizzare il pensiero controcorrente.

La crème del giornalismo americano si fissò sui difetti del dito, e ignorò la macilenta luna indicata da Webb; lui discuteva di Mena e Barry Seal, della South Air Transportation e del Cartello di Medellìn, di Ilopango e della piantagione di La Penca, di Bush e Noriega, Adolfo Calero e Felix Rodríguez: spiegava, per la prima volta su scala nazionale, in che cosa consisteva il vero scandalo del Contragate, e le conseguenze sulle vite dei giovani americani. Tabù nei templi del giornalismo.

Uno dei più feroci critici di Webb fu Jeff Leen del Washington Post; ex reporter del Miami Herald specializzato in narco-traffico, Leen ridicolizzò Webb sul giornale e di persona, accusandolo di complottismo. Eppure, quando copriva la Florida, Leen si fece passare sotto al naso i traffici di droga tramite i voli della SAT; e non scrisse mai dei rapporti tra Leonel Martinez, un imprenditore cubano-americano, e Jeb Bush. Dal 1983 il figlio del Vice-Presidente guidava il partito Repubblicano nella Dade County (la Contea di Miami), e in quegli anni Martinez, ufficialmente con cifre modeste, finanziò le sue campagne; l’imprenditore, simpatizzante dei Contra, nel 1989 venne indagato e successivamente condannato per traffico internazionale di droga: dalla fine degli anni ’70 ne aveva importata a tonnellate.

Punto di riferimento della comunità cubano-americana di Miami, anche Jeb Bush fu un sostenitore dei Contra, partecipando alle serate di raccolta dei fondi; in seguito ammise di aver girato al padre, quindi alla Casa Bianca, richieste di aiuti umanitari al Frente del Norte o al Frente del Sud; negando, però, di essere stato a conoscenza dei voli con le armi destinati a Ilopango e La Penca. Nessuno ha mai sollevato l’altra questione: se sapesse dei viaggi di ritorno, carichi di droga destinata agli americani.

Anatomia di uno scheletro

Il silenzio sul Contragate diventò assordante con l’elezione di George W. Bush, ma soprattutto dopo l’11 Settembre: con un presente apocalittico, il pensiero era rivolto a un futuro costellato di paure e incertezze; i fatti del passato, quelli legati all’ideologia anti-comunista delle Amministrazioni Reagan e Bush, diventarono preistoria nell’arco di una mattina: all’orizzonte si scorgevano nuovi nemici e altre guerre globali, stavolta con il pieno appoggio del Congresso.

E così, a trent’anni di distanza dall’abbattimento del C123K di Barry Seal, gli americani potrebbero assistere alla sfida alla Casa Bianca con questi protagonisti: Hillary Clinton e Jeb Bush; sullo sfondo, lo scheletro dell’Iran-Contra; lo scandalo è ormai ben documentato, eppure rischia di rimanere ai margini del dibattito, se mai dovesse entrarci.

Giustamente i temi devono essere l’occupazione, la politica estera e quella energetica, l’immigrazione e la sanità. Di sicuro, però, rimangono flebili le domande cruciali: possibile che all’alba del 2015 i Bush e i Clinton siano i soli nomi che la politica americana riesca a esprimere per la Casa Bianca? Quale forza può ancora mimetizzare i crimini dell’Iran-Contra, ed evitare che diventino memoria collettiva del Paese?

La risposta va cercata guardandolo bene questo scheletro, per conoscerne la struttura: dalle oscurità delle operazioni segrete della Cia, dal 1959 al 1986, riaffiorano sempre gli stessi protagonisti; dalla Rivoluzione Cubana fino alla guerra in Nicaragua, i responsabili della JM/WAVE, guidati da Ted Shackley e E. Howard Hunt, sono stati la colonna portante di alcune delle missioni più controverse, in patria e all’estero: ad esempio l’irruzione nel quartier generale del partito democratico (Watergate), o il Colpo di Stato in Cile.

Negli anni ’60, dopo la sede centrale di Langley, la Stazione Cia di Miami era la più grossa del mondo; contava un piccolo esercito di cubani, risoluti a riconquistare l’isola; e per raggiungere quell’obiettivo, la Direzione della Cia chiese supporto alle cosche mafiose d’America, desiderose di riaprire i  casinò a L’Havana; venne finanziato il boss John Roselli per uccidere Castro. Il celebre trittico che invaliderebbe “le teorie cospiratorie” sull’assassinio del Presidente Usa John F. Kennedy: i Cubani, la Cia, la Mafia; un’alleanza che ancora oggi, ampiamente documentata, genera ilarità.

Nell’aprile 1961, la JM/WAVE lanciò lo sbarco alla Baia dei Porci, ma l’operazione fallì; Kennedy mosse l’Aeronautica e la Marina per recuperare gli agenti americani e i controrivoluzionari cubani. Tuttavia si rifiutò di invadere l’isola, come gli venne richiesto da Allen Dulles e i vertici della Cia; Nikita Kruscev, Presidente dell’Unione Sovietica, minacciava di intervenire militarmente se gli americani non si fossero ritirati.

L’anno dopo ci fu la crisi dei missili a Cuba, che gettò il mondo sull’orlo di  una guerra termo-nucleare; Kennedy e Kruscev, con in mano i destini dell’umanità, giunsero a un accordo: l’Urss rinunciava ad armare di missili Cuba, e gli Usa promettevano di non invadere l’isola.

Alla JM/WAVE di Miami diventarono rabbiosi con Kennedy, accusato di averli abbandonati alla Baia dei Porci, e di aver tradito la causa cubana.

Era furioso anche Allen Dulles, licenziato dopo 9 anni da Direttore Cia; un affronto inaudito per l’uomo che aveva iniziato la carriera di spia alla fine della I Guerra Mondiale, durante i Trattati di Versailles, e aveva comandato lo spionaggio Usa in Europa nella II Guerra Mondiale .

John Fitzgerald Kennedy, tra i molti ambiziosi progetti, voleva riportare la Cia nell’ambito della costituzione, se non sbandarla. E anche per questo, nel 1963, fu assassinato in un Colpo di Stato.

Quel giorno del futuro Gigante Trasparente del XX Secolo

Nel cinquantenario dell’assassinio di Dallas, Jefferson Morley, ex reporter del Washington Post e moderatore del sito di approfondimento JFKfacts.org, ha affermato: “Ormai siamo di fronte a un quadro dei fatti che ci permette di andare oltre la dialettica “pazzo solitario/complotto”: la ricerca, adesso, è concentrata sul come e il perché.”

Nei primi tre anni di Kennedy alla Casa Bianca, in America si nutrì, usando l’espressione di Javier Cercas per raccontare il golpe spagnolo dell’81, la “placenta del Colpo di Stato”; l’ostilità verso i Kennedy cominciò a impossessarsi di uomini nelle istituzioni e nei settori chiave della società Usa: come le Forze armate, la finanza e l’industria, la Comunità dell’Intelligence, la criminalità organizzata. Quel sentimento, come era accaduto in Spagna, seminò l’idea del “bisogna fare qualcosa”; è un germe che si propaga in salotti, uffici, caserme e redazioni, in modo osmotico. Quell’atmosfera incoraggiò un gruppo di persone ad agire, e altre a rendersi disponibili per coprire i colpevoli: su tutte, il Vice-Presidente Lyndon Johnson. Quando apparve chiaro che il Colpo di Stato era riuscito, una parte decisiva della classe dirigente americana, per convinzione o per istinto, si allineò con il nuovo corso; meglio, si riallineò con il vecchio. Alla classe dirigente leale a Kennedy, e ai comuni cittadini, non rimase che ripiegarsi nel dolore, nei dubbi, nell’incredulità e nella paura.

Ma chi era il gruppo di persone capace di organizzare un atto così complesso come l’assassinio del Presidente degli Stati Uniti? Con alle spalle una rete di persone in posti chiave che potessero coprirlo?

John “Bob” Stockwell è stato capo di una Stazione Cia in Vietnam durante il conflitto, e Direttore delle operazioni nella guerra segreta in Angola; è l’agente Cia con il più alto grado ad aver svelato pubblicamente i metodi dell’Agenzia; nel 1989 Stockwell offrì un’analisi dell’evento: “Basandomi sulla mia esperienza e i documenti disponibili, posso dire che Kennedy è stato ucciso in un agguato di stampo militare: morì in un fuoco incrociato, i colpi partiti da tre-quattro postazioni diverse. All’epoca, c’erano pochi gruppi preparati, ma soprattutto motivati, a eseguire un’operazione simile sul suolo americano: di sicuro, ce n’erano nella JM/WAVE di Miami.”

Nel 1995 una Corte d’appello Usa, dopo una rassegna di documenti e testimoni, ha stabilito che non era diffamazione indicare E. Howard Hunt, negli anni ’60 vice-direttore operativo della JM/WAVE di Miami, come cospiratore nell’assassinio di John F. Kennedy.

Sono stati individuati anche due dei probabili cecchini: Charles Harrelson e Charles Nicoletti; più alcuni componenti del commando assassino: Chauncey Holt, Charles Rogers, Orlando Bosch, Frank Sturgis. Sono state sviscerate anche le responsabilità di chi smantellò le procedure di sicurezza intorno al Presidente Usa, in particolare del sindaco di Dallas Earl Cabell, degli agenti dei Servizi Segreti Emory Roberts, William Greer e Roy Kellerman; gli ultimi due, operativi anche nella mistificazione delle ferite mortali inflitte a Kennedy.

Gli agenti Cia David Atlee Philips, in Messico, e George Joannides, a New Orleans, erano stati funzionali a inquadrare Oswald, dal ’57 un asset della Cia e ben noto all’Fbi, come un attivista pro-Castro, pronto a scappare in Urss. Lo stesso Joannides, nel 1978, rappresentò la Cia durante i lavori della HSCA, la Commissione d’inchiesta sull’assassinio Kennedy, nata per rivedere le conclusioni della Commissione Warren.

In realtà la Commissione Warren era stata pilotata da uno dei 7 membri: l’ex Direttore Cia Allen Dulles, licenziato l’anno prima da Kennedy; con la scusa di evitare un’escalation contro Cuba e l’Urss, la Commissione plasmò i fatti per mantenere la narrativa del “pazzo solitario”. Una conclusione che Edgar J. Hoover, Direttore dell’Fbi, del resto, aveva sposato dopo l’assassinio in diretta televisiva di Oswald, il 24 novembre 1963

E cinque giorni dopo, Hoover scrisse di persona un memo con oggetto “Assassinio del Presidente John F. Kennedy”: vi indicava il signor George Bush della Cia come referente di “sviati gruppi anti-castristi di Miami intenzionati a sfruttare la situazione e intraprendere azioni non autorizzate contro Cuba.”

Lo storico Russ Baker ha illustrato perché l’agente Cia nominato nel memo, nonostante il diniego dell’ex Presidente Usa, è proprio George H. W. Bush: al quale, per chiarire la sua statura nella storia Usa, è già stato intitolato il Quartier Generale dell’Agenzia, a Langley.

Un altro memo dell’Fbi, ancora con oggetto “Assassinio del Presidente John F. Kennedy”, descrive la telefonata “del petroliere George H. W. Bush” un’ora dopo l’attentato in Dealy Plaza; Bush denunciava all’Fbi il sospetto che un suo collaboratore centrasse qualcosa nell’omicidio; specificò di trovarsi a Tyler, Texas, come se avesse cercato di costruirsi un alibi. Per altro Bush in quei giorni pernottava allo Sheraton Hotel di Dallas.

Nel 1988 Bush, incalzato dal giornalista Joseph McBride, commentò così il memo che lo descriveva, il 22 novembre 1963, come referente degli “sviati gruppi cubani di Miami”: “In quel periodo ero a Houston, lavoravo ai miei pozzi petroliferi; non ho idea di cosa si stia parlando.”

In sostanza George H. W. Bush non si è ricordato di dove fosse il 22 novembre 1963, né della telefonata collegata all’assassinio di John F. Kennedy. Il futuro Presidente degli Stati Uniti fece quella telefonata nel periodo in cui mandava avanti le sue società petrolifere con Thomas Devine, un agente della Cia, e Edwin Pawly, Consigliere del Dipartimento di Stato coinvolto nella JM/WAVE di Miami.

Forse è tempo che gli americani si ricordino del loro passato, lontano o recente, del Colpo di Stato del ’63 e del Contragate, se vogliono capire perché nel 2016 potrebbero ritrovarsi alla Casa Bianca un altro Bush, o una Clinton.

Nel 2008 lo slogan del candidato democratico Barack Obama era “we can change – possiamo cambiare”; nel 2012, dopo un cambiamento solo parziale, e ignorando gli scheletri, da Presidente ne avanzò un altro, di slogan: “look forward – guardiamo avanti”.

In 1984 di George Orwell, romanzo distopico scritto nel 1948, si staglia una sentenza: “Chi controlla il passato controlla il futuro; chi controlla il presente controlla il passato.” – Fine

Di Cristiano Arienti

Leggi anche: Assassinio di JFK: la Cia di Allen Dulles, e Lee Oswald come capro espiatorio

In copertina: Passaggio di consegne tra George H. W. Bush e il nuovo Presidente Usa Bill Clinton

Fonti e link utili

http://whatreallyhappened.com/RANCHO/POLITICS/MENA/CIAREPORT/contents.html (Rapporto Commissione di Intelligence 1996)

http://narconews.com/darkalliance/drugs/day1main.htm

http://jfkfacts.org/assassination/top-6-jfk-files-the-cia-still-keeps-secret/

http://www.blackopradio.com/archives2013.html (Revisione sulla Commissione Warren e il Caso JFK)

https://books.google.it/books?id=s5qIj_h_PtkC&pg=PA342&lpg=PA342&dq=winston+bryant+mena&source=bl&ots=zeoy2f0wsa&sig=vkb3n_BNyOG0gHPiuJGAP9OEosw&hl=it&sa=X&ei=ZfMHVeSNDYz3apn3gdAJ&ved=0CEEQ6AEwBQ#v=onepage&q=winston%20bryant%20mena&f=false

http://watergate.info/1972/06/23/the-smoking-gun-tape.html

http://jfkfacts.org/assassination/about-that-lame-bush-conspiracy-theory/

http://whatreallyhappened.com/RANCHO/POLITICS/ARCHIVE/CRIMES_OF_MENA.html (articolo di Roger Morris – Sally Denton)

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2 Responses to “I Bush, i Clinton, e lo scandalo Iran-Contra: una parabola americana – Parte 2/2”

  1. alessandra March 24, 2015 at 10:55 pm #

    i potenti sono sempre dalla stessa parte.Come il caso della BCCI, dotata di un azionariato trasversale (emiri di Abu Dhabi, ricchi pakistani), utilizzata dalla Cia stessa per finanziare mercenari.

    Questo pezzo svela con meticolosa attenzione una serie di fatti determinati per comprendere alcune parole lanciate dall’informazione con ragionata indifferenza.

    grazie Cristiano Arienti per esserti dedicato ancora una volta a dipanare la matassa del potere.

  2. Cristiano Arienti March 24, 2015 at 11:07 pm #

    Sono argomenti molto complessi, spero siano chiari, anche se le informazioni da assimilare sono tantissime. Credo si capisca che c’e’ un filo conduttore nel sistema: protezione degli interessi, business della guerra, massima copertura del sistema anche di fronte a scandali, crimini e inganni.
    Prima di guardarci dentro allo scandalo Iran-Contra, non sapevo neanche bene cosa fosse: e invece mi pare il punto focale per comprendere la storia americana degli ultimi 50 anni!
    Grazie ancora Ale per l’incoraggiamento!

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