Lotta ai Cambiamenti Climatici: ora o mai più

«Siamo la prima generazione a sentire l’impatto del cambiamento climatico; siamo l’ultima che può fare qualcosa per contrastarlo». Sono parole del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, pronunciate lo scorso 3 agosto 2015; un anno, il 2015, che sta passando alla storia come il più caldo da che esistono misurazioni della temperatura globale. In quell’occasione Obama ha presentato il Clean Power Plan, il piano nazionale per ridurre le emissioni di gas serra del 32%, entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005, e dell’80% entro il 2050: gli Stati Uniti lo proporranno come base programmatica alla COP21 (21° Conferenza delle Parti), che si terrà a Parigi dal prossimo 30 novembre all’11 dicembre. In quella sede 195 Paesi, più l’Unione europea, cercheranno di trovare un accordo per aggiornare l’UNFCCC (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici): è il trattato stipulato a Rio De Janeiro nel 1992, quando la comunità internazionale si riunì per la prima volta con l’obiettivo di rallentare il Riscaldamento Globale antropico.

Gianluca Lentini, geofisico e divulgatore scientifico, ci ha spiegato: “Il Riscaldamento Globale è l’attuale manifestazione dei cambiamenti climatici: è un fenomeno scientifico suffragato grazie a dati raccolti nell’arco di almeno due secoli. Esiste un consenso amplissimo tra gli scienziati climatici sulla natura antropica del Riscaldamento Globale registrato negli ultimi 200 anni circa: a partire, cioè, dalla Rivoluzione industriale, quando cominciò la produzione massiccia di energia derivante dal carbon-fossile, e l’immissione di gas climalteranti, i quali incrementano l’effetto serra nell’atmosfera”.

Nel 1997 oltre 180 Paesi decisero di aggiornare l’UNFCCC, firmando il Protocollo di Kyoto, sede della COP3; tenendo conto dei livelli di sviluppo, ricchezza e industrializzazione dei vari Paesi, si stabilivano meccanismi per limitare l’emissione dei gas serra, da implementare in modo effettivo a partire dal 2005 fino al 2012. Il trattato sottoscritto era vincolante. Nel 2001, tuttavia, con l’insediamento dell’amministrazione Bush, gli Stati Uniti decisero di non ratificare il Protocollo di Kyoto: si metteva in dubbio che l’azione dell’uomo fosse la principale causa del Riscaldamento Globale.

Un nuovo problema relativo al funzionamento del Protocollo di Kyoto è stata la crescita demografica e industriale di Paesi come Cina, India, Brasile, Indonesia: in pochi anni sono diventati grandi consumatori di energia derivante dal carbon-fossile.

In quei Paesi, in particolare, si è evidenziata l’importanza di un altro settore, l’AFOLU (Agricolture, Forestry and Land Use), ovvero l’espansione dell’agricoltura industriale, la gestione delle foreste e lo sfruttamento del suolo: sulla bilancia dell’effetto serra, conta quasi quanto il settore energetico, e più di quello del trasporto.

A stabilirlo è l’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici), un foro scientifico organizzato dalle Nazioni Unite, dove si riuniscono studiosi di tutto il mondo. L’IPCC pubblica periodicamente Rapporti di Valutazione sui Cambiamenti Climatici: presenta dati relativi al Riscaldamento Globale, modella scenari futuri prendendo come variabile l’innalzamento della temperatura, e offre consigli per mitigare il fenomeno.

Nel 2007 l’IPCC ha pubblicato il Quarto Rapporto di Valutazione, il penultimo, dove si metteva in evidenza l’aumento costante della temperatura globale, e la rapidità dei Cambiamenti Climatici: dallo scioglimento dei ghiacci, all’innalzamento degli oceani, all’intensificarsi di fenomeni temporaleschi.

L’IPCC sottolineava la necessità di aggiornare il Protocollo di Kyoto: in un secolo, le temperature rischiavano di innalzarsi anche di 4C°, rispetto a quelle registrate tra il 1980 e il 1999, senza adeguate politiche per limitare l’emissione dei gas serra.

Così è cominciata a montare la pressione sui politici per agire; e nel 2008, con l’elezione di un nuovo presidente Usa, dopo l’era Bush, è cresciuta la speranza di migliorare il Protocollo di Kyoto: nella sua campagna elettorale, Barack Obama aveva puntato molto sull’ambiente. E invece nel 2009, in occasione della COP15 di Copenaghen, i maggiori produttori di CO2 non trovarono l’intesa: Cina e India si rifiutarono di limitare l’uso di energia derivante dal carbon-fossile in una fase di grande crescita; dal loro punto di vista, erano i Paesi Occidentali, produttori di CO2 da quasi due secoli, che avrebbero dovuto tagliare ulteriormente le emissioni di gas climalteranti.

Il fallimento di Copenaghen 2009 è stato uno shock per l’intera comunità scientifica; tuttavia si raggiunse l’accordo su un punto importante: in quella sede si fissa a 2C° il limite massimo di innalzamento entro il 2100, rispetto al periodo pre-industriale: è una soglia arbitraria, oltre la quale si ritiene che l’impatto dei Cambiamenti Climatici, per l’uomo, sarebbe troppo rapido e pericoloso.

L’anno dopo, a Cancun, la COP16 rimarca l’importanza di contrastare il Riscaldamento Globale, e lancia la sfida di una transizione energetica, con l’obiettivo di utilizzare sempre meno il carbon-fossile: a questo proposito, viene istituito un fondo per finanziare politiche di mitigazione, e implementazione delle energie rinnovabili.

Ma è nel 2011 che si mette in moto un processo diplomatico globale che durerà quattro anni e coinvolgerà i Paesi di tutto il mondo. A Durban, sede della COP17, i vari Paesi erano ancora molto distanti tra loro, ma passò una proposta decisiva: entro il 2015 va trovata una piattaforma programmatica su cui si discuterà un accordo vincolante per il Clima, da implementare a partire dal 2020; è la cosiddetta Piattaforma di Durban.

Prende il via l’ADP (Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for enhanced action); è un corpo di lavoro delle Nazioni Unite con mandato di sviluppare il protocollo che verrà sottoposto agli Stati nella COP21 di Parigi fra meno di un mese.

Gli obiettivi dichiarati della 21° Conferenza delle Parti sono principalmente tre:

  • limitare le emissioni di gas serra e rallentare il Riscaldamento Globale
  • implementare un piano di adattamento contro i Cambiamenti Climatici
  • lanciare il Green Climate Fund, un piano di 100 miliardi di dollari all’anno che dal 2020 verrà utilizzato per finanziare politiche energetiche sostenibili, oltre che aiutare i Paesi già colpiti dai Cambiamenti Climatici.

Alla base, c’è l’obiettivo a lungo termine di una transizione economica: passare dal carbon-fossile alle rinnovabili: il solare, l’eolico, le biomasse. Perciò, nei quattro anni di preparazione della COP21, sono stati coinvolti decine di enti sub-statuali, associazioni industriali e finanziarie, colossi energetici, compagnie di trasporto, organizzazioni non governative: anche loro daranno il loro contributo per ridurre l’emissione dei gas serra.

Quasi tutti i 195 Paesi (più l’Unione europea) partecipanti alla Conferenza di Parigi hanno già pubblicato un INDC (Intended Nationally Determined Contribution), il piano di ogni Stato per contrastare a breve e lungo termine i Cambiamenti Climatici; compreso il maggior produttore di gas climalteranti, la Cina, con cui gli Stati Uniti, prima di annunciare il Clean Power Plan, avevano ingaggiato un negoziato bilaterale proprio in vista della Conferenza di Parigi. Se la bozza elaborata dalle Nazioni Unite rappresenta la struttura dell’accordo, gli INDC costituiscono la base negoziale dei singoli Stati per raggiungere l’accordo vero e proprio.

Le attese per la COP21 sono altissime: dopo uno sforzo diplomatico così complesso ed esteso nel tempo, la speranza che a  Parigi si trovi un accordo universale sul Clima è concreta, fermo restando l’incognita della sottoscrizione vincolante, un’opzione su cui non c’è ancora chiarezza.

Un altro fallimento, dopo Copenaghen 2009, avrebbe conseguenze imprevedibili; i modelli elaborati dall’IPCC nel Quinto Rapporto di Valutazione, pubblicato nel 2014, sono chiari: se la temperatura globale aumenta di 4-5C°, la vita sulla Terra sarà molto diversa da come la conosciamo oggi.

Il Segretario Esecutivo delle Nazioni Unite per il Clima Christiana Figueres ha dichiarato a Bruxelles lo scorso 15 settembre: «Lo scenario attuale comporterebbe un aumento della temperatura di 4-5C° entro la fine del secolo. Con i contributi presentati dai Paesi in vista di Parigi, la temperatura si innalzerebbe di 3C°. E’ uno scenario accettabile? No; con questi presupposti, l’accordo che si profila non sarà perfetto, ma rappresenterebbe lo stesso un grande passo».

Un passo obbligato per contrastare i cambiamenti climatici, definiti dal Presidente americano Obama “la più grave minaccia per le generazioni future”.

Di Cristiano Arienti

Articolo pubblicato su L’Indro.

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