L’11 Settembre riscritto in 28 pagine

Ogni cittadino americano ed europeo conosce a grandi i linee i fatti relativi agli attacchi terroristici dell’11 Settembre, ma vi è un capitolo di quell’evento che resta da chiarire: le fonti estere che supportarono i dirottatori durante il loro soggiorno negli Stati Uniti, nei due anni precedenti l’attentato. In realtà la questione è affrontata in una sezione del Rapporto finale prodotto nel 2002 da una Commissione di Inchiesta interparlamentare del Congresso degli Stati Uniti; tuttavia, le 28 pagine della sezione sono state interamente censurate su decisione dell’allora Presidente degli Stati Uniti George W. Bush per motivi di sicurezza nazionale; una scelta rinnovata anche dall’attuale Presidente Usa Barack Obama. Un movimento trasversale chiede la declassificazione di quelle 28 pagine: da varie associazioni dei parenti delle vittime dell’11 Settembre, a molti attivisti e giornalisti, fino a un gruppo di rappresentanti del Congresso americano. E solo a loro, ai rappresentanti del Congresso Usa, è concessa la lettura delle 28 pagine, previa autorizzazione, controllati a vista, senza la possibilità di prendere appunti, né tanto meno di ricevere copia del documento. Il senatore repubblicano Thomas Massie ha letto le 28 pagine, e in una conferenza del 13 marzo 2014 ha raccontato: «Dovevo fermarmi ogni due pagine, assimilarle, e riordinare la mia comprensione della storia del nostro passato recente. Queste 28 pagine ti spingono a ripensare tutto quanto».

Massie, insieme ai rappresentanti Walter Jones e Stephen Lynch, si è fatto promotore della HR14, una Risoluzione della Camera del Congresso Usa, affinché si voti per la declassificazione delle 28 pagine. Anche il senatore Rand Paul, candidato alle primarie repubblicane in vista delle elezioni presidenziali del 2016, sponsorizza l’iniziativa; in una conferenza stampa del 2 giugno 2015, Paul ha dichiarato: «Nel corso degli anni sono stati rivelati particolari che sollevano una questione: se l’Arabia Saudita abbia o meno supportato i terroristi di Al Qaeda che hanno compiuto l’attentato dell’11 Settembre. Non possiamo tenere quelle pagine classificate, e lasciare nel dubbio le famiglie delle vittime dell’11 Settembre, sul fatto se esistano o meno ulteriori informazioni sui punti oscuri dell’attentato. Lo dobbiamo alle famiglie: non possiamo permettere questa mancanza di trasparenza».

Origine delle 28 Pagine

Nel marzo 2002, su pressione del leader democratico al Senato Usa Tom Daschle, venne istituita la Joint Congressional Inquiry sull’attività della Comunità di Intelligence prima e dopo gli attacchi dell’11 Settembre. Nonostante l’ostilità e l’ostruzionismo dell’amministrazione Bush-Cheney, nel dicembre del 2002 i lavori produssero un rapporto, con al suo interno una sezione dedicata al supporto logistico e finanziario ricevuto dai futuri dirottatori negli Stati Uniti, nei 20 mesi precedenti all’attentato. Il documento venne utilizzato anche per le indagini condotte dalla 9/11 Commission, la Commissione istituita dalla Casa Bianca nel 2003 per fare luce su ogni aspetto relativo all’attacco. Nel Rapporto finale della 9/11 Commission, l’Arabia Saudita viene scagionata dalle accuse di aver supportato i dirottatori, nonostante nelle 28 pagine vi siano nomi, date, luoghi, passaggi di denaro che legano elementi della famiglia reale saudita, e quindi del governo di Riyadh, ai terroristi, quindici dei quali erano appunto sauditi.

A confermare questa ricostruzione è l’ex senatore Bob Graham, che di quella Joint Congressional Inquiry era co-presidente, e supervisionò la redazione delle 28 pagine. Dal 2004 Bob Graham si spende per la loro declassificazione; in più occasioni ha confermato il legame tra Khalid Al-Mihdhar e Nawaf Al-Hazmi, due dei futuri dirottatori, e Omar Al-Bayoumi, un cittadino saudita residente negli Stati Uniti e in costante contatto con l’ambasciata e i consolati del suo Paese. Al-Bayoumi accolse i due futuri dirottatori a Los Angeles, e li aiutò a stabilirsi a San Diego, in un appartamento vicino al suo; nel frattempo si incontrò anche con Hanj Hanjour, che insieme ad Al-Mihdhar e Al-Hazmi avrebbe poi dirottato l’A77, l’aereo schiantatosi contro il Pentagono. Al-Bayoumi, in quei venti mesi, ricevette per via indiretta ingenti somme dall’ambasciatore saudita a Washington, il Principe Bandar Bin Sultan, in seguito diventato elemento chiave della Sicurezza Nazionale saudita e capo dell’Intelligence di Riyadh. Dopo l’11 Settembre, Al-Bayoumi fu interrogato dalle autorità americane, ma gli fu permesso di lasciare il Paese; una volta rientrato in Arabia Saudita, è di fatto diventato irreperibile.

Le Risoluzioni Parlamentari e la protezione della Casa Bianca ai sauditi

Bob Graham, legato al vincolo di segretezza, non ha mai potuto svelare altri dettagli contenuti nelle 28 pagine; tuttavia, con il passare del tempo, ha puntato il dito in modo sempre più esplicito contro l’Arabia Saudita, e la sua politica di sostegno ad Al Qaeda, compresi i terroristi che condussero l’attacco dell’11 Settembre. Graham, con la sua battaglia di sensibilizzazione sulla questione, ha convolto alcuni rappresentanti del Congresso; nella passata legislazione, il repubblicano Walter Jones e il democratico Stephen Lynch promossero la HR428, la prima Risoluzione parlamentare per declassificare le 28 pagine. Nella conferenza stampa del 13 marzo 2014, Jones ha dichiarato: «La declassificazione delle 28 pagine non centra nulla con la sicurezza nazionale; ma metterebbe in imbarazzo la passata amministrazione». Jones si riferisce a George W. Bush: sono noti i rapporti di lunga data della famiglia Bush con la famiglia reale saudita, e i loro affari in comune con il Carlyle Group.

La HR28, e poi la HR14, hanno offerto un appiglio a una parte delle famiglie delle vittime dell’11 Settembre, che dal 2002 hanno tentato di portare in tribunale elementi dell’Arabia Saudita, per accertare il loro ruolo negli attacchi dell’11 Settembre. La richiesta era sempre stata ostacolata dall’amministrazione Bush, che aveva creato un apposito scudo legale per i sauditi. Anche il Presidente Obama, però, ha di fatto protetto la casa reale saudita; nel 2009 l’avvocatura della Casa Bianca ha espressamente richiesto a una Corte Federale del Distretto di New York di rigettare la causa dei parenti delle vittime dell’11 Settembre contro il governo di Riyadh. Una causa intentata anche pochi mesi fa, soprattutto dopo le rivelazioni di Graham, e le recenti accuse di Zacarias Moussaoui, il cosiddetto “ventesimo dirottatore”, sul coinvolgimento della famiglia reale saudita negli attentati dell’11 Settembre; ancora una volta, però, la causa è stata bocciata da un tribunale competente. In tutti questi anni i sauditi sono stati difesi dallo Studio legale di James Baker, Segretario di Stato americano sotto la Presidenza di George H. W. Bush.

La lenta presa di coscienza di una nazione e il ruolo degli attivisti politici

Nonostante la campagna di sensibilizzazione di politici, attivisti, e addirittura dei parenti delle vittime dell’11 Settembre, gli americani sembrano disinteressati a un documento così scottante, legato all’attacco più grave contro gli Stati Uniti dai tempi di Pearl Harbor. Brian McGlinchey è il Direttore di 28Pages.org, sito di informazione che aggiorna sulle novità riguardanti la declassificazione di quelle 28 pagine: gli abbiamo chiesto perché, secondo lui, gli americani non siano scioccati dalle implicazioni nascoste in quel documento, e non ne pretendano la pubblicazione.

“Vi sono tre tipi di risposte a questa domanda: prima di tutto i media americani costituiscono un collo di bottiglia per quanto riguarda informazioni che, secondo le logiche di Washington, metterebbero a repentaglio la cosiddetta ‘sicurezza nazionale’. In questo caso, difendere i nostri interessi coincide con la volontà di proteggere l’Arabia Saudita; e ‘sicurezza nazionale’ significa nascondere le responsabilità  dell’amministrazione Bush, che non perseguì chi avrebbe materialmente supportato i responsabili di quell’attacco terroristico, ma usò l’11 Settembre per lanciare la guerra in Iraq nel 2003. E’ vero che nell’ultimo anno la questione ha ottenuto più copertura mediatica: dal New York Times a Foxnews al New Yorker, un po’ tutti ne hanno parlato, pur senza imbastire campagne mediatiche che la declassificazione delle 28 pagine meriterebbe. E qui subentra una seconda questione: la difficoltà di spiegare la complessa logica della geopolitica. Come ha detto Bob Graham (in una conferenza stampa del 7 gennaio 2015, ndr), i sauditi sanno che noi sappiamo. Ma per una persona comune è difficile addentrarsi nei meccanismi per cui gli Stati Uniti coprirebbero un Paese che ha avuto un ruolo nell’attentato dell’11 Settembre. E qui si passa al terzo punto, la barriera psicologica: accettare una nuova narrativa sull’11 Settembre, come ha detto il senatore Massie, è difficile; siccome sarebbe un percorso doloroso, molti se ne disinteressano, altri preferiscono dedicare le loro energie ad altre battaglie”.

Eppure, McGlinchey e altri attivisti, tra cui i parenti delle vittime, continuano a lavorare per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle 28 pagine, e spingono perché diventi un tema delle primarie democratiche e repubblicane. Alcuni sono riusciti ad affrontare i candidati in campagna elettorale, chiedendo loro un’opinione sulla sezione interamente censurata del rapporto della Joint Congressional Inquiry.

Il candidato repubblicano Jeb Bush, in risposta, ha domandato cosa fossero le 28 pagine, tagliando corto sul coinvolgimento dell’Arabia Saudita negli attacchi che sorpresero l’America durante la presidenza di suo fratello George.

Lindsey Graham, neoconservatore e grande conoscitore di politica estera, ha dichiarato durante un incontro pubblico: «Non ho letto le 28 pagine; se diventassi Presidente, deciderei di declassificarle solo se non arrecassero danno al nostro alleato. Infatti l’Arabia Saudita ci aiuta contro il terrorismo, anche se ci sono alcune cose che devono cambiare».

In campo democratico la candidata Hillary Clinton non ha ricevuto domande sulle 28 pagine, sebbene nel 2003 avesse firmato una richiesta sottoscritta da 46 Rappresentanti del Congresso USA, e affidata al Presidente Bush, pregandolo di declassificare quella sezione del Rapporto della Joint Congressional Inquiry. Da Segretario di Stato, la Clinton non ha mai mostrato interesse alla declassificazione di quelle pagine; un atteggiamento comune al suo successore, l’attuale Segretario di Stato John Kerry: anch’egli aveva firmato la richiesta nel 2003. In questi ultimi anni la Fondazione Clinton ha ricevuto finanziamenti di almeno 10 milioni di dollari dall’Arabia Saudita.

Secondo Brian McGlinchey, “è difficile che la questione diventi tema di dibattito per le presidenziali, vista la storia dei probabili candidati di maggior peso. Lo stesso Bernie Sanders, democratico e politico più alternativo rispetto agli altri, non ha mai fatto cenno alle 28 pagine”.

Conclusione: cosa sta producendo la battaglia per la declassificazione delle 28 pagine

L’impegno da parte dei familiari delle vittime, degli attivisti e dei parenti, ha costretto la Casa Bianca ad esporsi sulla questione: il 10 settembre 2014 Barack Obama ha ordinato una revisione delle 28 pagine per un’eventuale declassificazione. Il compito è stato affidato alll’ODNI (Office of the Director of National Intelligence). Da allora è trascorso oltre un anno, più dell’intera durata della Joint Congressional Inquiry, che revisionò 500.000 pagine di documenti per condurre le indagini.

Ancora oggi non è chiaro se mai gli Americani avranno il diritto di leggere le 28 pagine. Però la battaglia per la loro declassificazione ha ottenuto un importante risultato: aprire un dibattito pubblico negli Stati Uniti, sulla necessità di rivedere la narrativa dell’11 Settembre, e riscrivere la storia di un evento cruciale della nostra epoca.

Di Cristiano Arienti

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