Hillary Clinton, il femminismo a comando e la relazione con Wall Street

Nel 2004 Elizabeth Warren, oggi senatrice e figura di peso nel partito democratico, svelò un retroscena illuminante per capire come la grande finanza condizioni le scelte politiche di Hillary Clinton.

Elizabeth Warren

Elizabeth Warren

Nel 1995 la Warren era Professoressa di Diritto Commerciale ad Harvard, specializzata nel settore finanziario; a lei si rivolse Hillary Clinton, all’epoca first lady, per comprendere meglio il disegno di legge sulla bancarotta, in discussione al Congresso americano. La Warren spiegò come l’industria finanziaria, attraverso il lobbismo sui Rappresentanti di Camera e Senato, spingesse per limitare il diritto alla bancarotta; un enorme affare per le banche, ma devastante per i cittadini comuni: soprattutto per chi all’improvviso perde il lavoro, o si ammala gravemente, o si separa dal coniuge.

Tornata a Washington, Hillary Clinton si impegnò per apportare modifiche al testo, e quando il Congresso passò una legge sbilanciata a favore degli istituti finanziari, il Presidente Bill Clinton pose il veto.

Nel 2001 una legge ben peggiore, “vampiresca”, nelle parole della Warren, venne riproposta al Congresso: la Bankruptcy Abuse Prevention and Consumer Protection impediva a un debitore di dichiarare bancarotta se in possesso di beni, anche essenziali come la prima casa. La Clinton, da poco eletta Senatrice nello Stato di New York, votò a favore (e il Presidente George W. Bush la firmò nel 2005).

L’intervistatore chiese alla Warren la ragione di quella giravolta, ed ecco la sua risposta:

“Da Senatrice, Hillary Clinton ha subito pressioni; quella finanziaria è un’industria ricchissima. Molti non comprendono che negli ultimi anni, i maggiori lobbisti di Washington non appartengono all’industria del petrolio o quella farmaceutica: vengono dall’industria dei prodotti finanziari per consumatori. Sono le compagnie che emettono carte di credito i maggiori sponsor finanziari, quelli con maggior influenza. Hillary Clinton ha preso soldi da quei gruppi, ma soprattutto, si preoccupa di loro come parte del suo collegio elettorale. E questo è un aspetto della nostra democrazia che incute paura: l’impatto che il denaro ha su di essa. L’industria del credito, sulla legge relativa alla bancarotta, ha investito decine di milioni di dollari nel fare lobby sui politici. E maggiore è il guadagno, maggiore sarà l’investimento nell’ottenere leggi a proprio favore: per loro sarà sempre più facile succhiare soldi dalle tasche della classe media americana.”

La questione femminista o la questione della corruzione del sistema politico?

Proprio a partire da quel 2004-05, le banche elargirono finanziamenti per centinaia di miliardi di dollari; i debiti venivano assicurati e immessi nel mercato attraverso i derivati, strumenti lanciati proprio durante la Presidenza Clinton, e mai adeguatamente regolamentati. Un po’ tutti gli istituti avevano intrapreso questa politica di credito, grazie alla cancellazione del Glass-Steagall Act del 1933, che separava banche di investimento dalle banche commerciali: anch’esso un atto da addebitare al Presidente Clinton.

La bolla immobiliare era già all’orizzonte a partire dal 2006 (con l’emissione massiccia di Credit Default Swap), e scoppiò nel 2007-2008. Con la crisi, centinaia di migliaia di famiglie persero la casa in virtù del Bankruptcy Abuse Prevention and Consumer Protection Act.

La Warren, che contro quella legge si era battuta per oltre 10 anni, venne chiamata dal Congresso degli Stati Uniti a presiedere il gruppo di controllo del Pacchetto di misure emergenziali: la strategia prevedeva di stabilizzare l’economia reale, e proteggere i cittadini da un collasso del mercato. Tuttavia la Warren si trovò a supervisionare la nazionalizzazione del colosso assicurativo AIG, l’acquisto dei titoli tossici nelle pance delle banche, e l’elargizione di 700 miliardi di dollari, presi dalle tasche dei contribuenti americani, come paracadute della grande finanza.

Da quel momento, la Warren diventò un’accesa sostenitrice della riforma per regolamentare Wall Street, alienandosi l’industria finanziaria; si prodigò per creare sistemi di protezione dei consumatori, conquistando gruppi e associazioni sul territorio. Nel 2012 si candidò in Massachusetts per un seggio democratico al Congresso: dopo aver raccolto 39 milioni di dollari con una campagna dal basso, venne eletta al Senato; insediatasi nella Commissione degli Affari Bancari, cominciò un’instancabile battaglia per limitare l’influenza dell’industria finanziaria sul sistema politico.

Quasi contemporaneamente, nel 2013, la Clinton si dimise da Segretario di Stato dell’amministrazione Obama: da quel momento ha lavorato alla sua candidatura da Presidente degli Stati Uniti, dopo aver fallito nel 2008 proprio contro Barack Obama.

In quella campagna, lo slogan della Clinton era stato “inevitabile”, una sfumatura d’arroganza punita durante le primarie di otto anni fa; questa volta si è presentata come la campionessa della gente comune, ma la sensazione, sin dal 2014, era che nessuno, nel partito democratico, poteva opporsi alla macchina elettorale dei Clinton: la candidatura di Hillary sembrava davvero inevitabile.

Ma quando, all’inizio del 2015, alcuni gruppi democratici lanciarono la Warren come concorrente alle primarie, partì come un treno la macchina elettorale a nome della Senatrice del Massachusetts: “Run Warren Run” ha riecheggiato per settimane su tutti i social network americani.

In un sondaggio di YouGove di febbraio 2015 emergeva che, fra gli elettori democratici, la preferenza andava a una candidata come la Warren piuttosto che a una come la Clinton.

La Senatrice del Massachusetts dichiarava di non pensare alle primarie, ma la sola ipotesi gettava i vertici del partito nel panico: la Warren, nella loro ottica, non rischiava di battere la Clinton, ma poteva ridimensionarla nella sfida contro il candidato repubblicano; soprattutto se avesse cominciato ad attaccarla sulle questioni di economia.

Un altro argomento usato dall’establishment di partito, fu proprio il femminismo: con due candidate alle primarie, paradossalmente, non si sarebbe sfruttata al massimo la questione delle donne e dei loro diritti.

Appena un anno prima, quando la democratica Zephyr Teachout si era presentata alle primarie nello Stato di New York, la questione femminile non fu nemmeno accennata: Hillary Clinton appoggiò Andrew Cuomo, poi eletto Governatore.

Oggi, tranne la Warren, tutte le Rappresentanti democratiche del Congresso appoggiano Hillary Clinton, proiettando su di lei il sogno della prima donna alla Casa Bianca; e cancellando con un colpo di spugna tutti gli scandali, gli errori e le contraddizioni dell’ex first-lady.

Compresa quella di rimanere accanto a un uomo che da Presidente degli Stati Uniti distrusse la carriera di una stagista 22enne, coinvolgendola in una relazione sessuale durata due anni. E Monica Lewinsky fu solo una delle tante prede nella maniacale vita extraconiugale di Bill Clinton.

La rivolta della base democratica

L’incoronazione di Hillary Clinton come candidata democratica alle elezioni presidenziali del 2016, senza la minaccia Warren, sembrava una formalità. Invece il 74enne Bernie Sanders, semi-sconosciuto Senatore del Vermont, ha rovinato i piani del partito: ci sono voluti parecchi mesi per guadagnare il consenso che la Warren aveva riscosso in poche settimane (senza candidarsi); ma alla fine Sanders, criticando l’intreccio corrotto tra politica e grandi corporations, è riuscito a entrare in sintonia con la base del partito.

Quando Sanders denuncia Exxon Mobile e il suo lobbismo teso a bloccare politiche energetiche e ambientali fondamentali per gli americani, sembra la Warren che punta il dito contro Citybank, accusata di essersi infiltrata nelle istituzioni per scrivere leggi favorevoli a Wall Street.

Di fronte ad argomenti del genere, la Clinton non ha difese, non ha anticorpi: negli anni ha ricevuto milioni di dollari da CityBank ed Exxon; e ne ha ricevuti da Goldman Sachs e Wal-mart, da Morgan Stanley e Monsanto, da JP Morgan Chase e Proctor and Gamble.

Come ha sottolineato il New York Review of Books, nella storia della politica americana non esiste un paragone con la macchina da soldi dei Clinton: attraverso la Fondazione Clinton o le campagne elettorali, hanno ricevuto centinaia di milioni di dollari dalle multinazionali e contractors di ogni settore, e da Paesi dittatoriali come Arabia Saudita e Kazakistan. Spesso i soldi sono stati versati dopo che Hillary Clinton, da Segretario di Stato, aveva supportato il “donatore” nel vincere un appalto, o risolvere una controversia legale.

Nell’annuale appuntamento della Clinton Global Initiative del 2014-2015, i CEO delle maggiori multinazionali ottenevano un colloquio con Bill e Hillary solo previo pagamento di 250.000 dollari.

Non è difficile capire perchè nei sondaggi nazionali Sanders, fino a ieri ignorato dai media, è alla pari con la Clinton: i cittadini non sapranno molto del Rappresentante del Vermont, ma conoscono bene Hillary. Il primo fa sorgere dubbi sulla sua effettiva capacità di guidare l’America; la seconda, però, offre certezze su chi favorirà una volta salita alla Casa Bianca.

Come ha sottolineato l’analista di Salon Bill Curry, il fenomeno Sanders rappresenta una rivolta dell’elettorato democratico di fronte all’imposizione di un candidato come la Clinton; a suo modo, è una vera rivoluzione nel panorama politico americano.

Di Cristiano Arienti

http://www.corriere.it/economia/16_febbraio_08/elezioni-ecco-come-vota-wall-street-sotto-candidato-trovi-hedge-fund-9aa1194a-ce32-11e5-8ee6-9deb6cd21d82.shtml

http://www.salon.com/2016/02/07/its_almost_over_for_hillary_this_election_is_a_mass_insurrection_against_a_rigged_system/?utm_source=twitter&utm_medium=socialflow

http://www.nakedcapitalism.com/2016/02/gaius-publius-the-pressure-on-warren-to-support-hillary-clinton.html

http://thehill.com/homenews/campaign/268161-female-senators-urge-warren-back-hillary

http://www.nybooks.com/daily/2016/01/30/clinton-system-donor-machine-2016-election/

 

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