Dora Bruder, cronaca di una indagine umana e civile

Nel 1986 l’annuncio di una quindicenne scomparsa, letto su un quotidiano d’epoca, è la scintilla che fa scattare qualcosa nell’autore francese Patrick Modiano. Quelle poche righe scritte da un padre e una madre angosciati, fanno nascere una domanda: cosa ne è stato di Dora Bruder, la quindicenne dell’annuncio? Scoprirlo è quasi impossibile, perché si tratta di una ragazzina scomparsa 45 anni prima: esattamente nel dicembre 1941, in una Parigi occupata dai nazisti e in piena II Guerra Mondiale. Di lei Modiano, oltre al nome e all’età, conosce solo una breve descrizione fisica e l’indirizzo di casa: Boulevard Ornano 41; indizi davvero scarsi per una ricerca che l’autore inizia quasi per curiosità.

A livello subconscio, però, trovare una risposta sulla sorte della ragazzina diventa un’ossessione; che accompagna Modiano per una decina di anni. Fino a quando, nel 1996, decide di scrivere la cronaca di questa indagine così lontana nel passato; per dare un senso a una ricerca che non riguarda più solo Dora Bruder, ma la propria esperienza di individuo e di cittadino.

E’ la dinamica che spinge ogni autore a dedicare parte della propria esistenza a una storia da raccontare, a un personaggio da far conoscere, a un fatto da tramandare: lo scrittore si trasforma in un catalizzatore di memorie, di eventi, o di visioni, che considera necessari da trasmettere agli altri. Al contempo, scrivere è un esercizio anche per capire meglio se stessi: questo vale per molti autori che producono prosa; e a maggior ragione per chi, come Modiano, si impegna in un’opera di alta letteratura.

Dora Bruder è la cronaca della ricerca intrapresa da un uomo – lo scrittore è, prima di tutto, un essere umano – il quale si carica sulle spalle una grande responsabilità: riesumare dall’oblio una ragazzina ebrea assassinata ad Auschwitz; e trasformarla nel simbolo universale dell’innocenza calpestata dai nazisti. Dora, da nome anonimo su un foglio ingiallito, riaffiora come una quindicenne mossa dalla ribellione; rivive fra noi come una ragazzina piena di energia. E muore una seconda volta, davanti a noi, vittima dell’orrore più nero di cui l’essere umano è capace: la macchina dello sterminio.

Nel libro osserviamo Modiano aggirarsi come un rabdomante per le vie di Parigi, per trovare reperti di una città che non c’è più; come alla ricerca di una sorgente sotterranea, in luoghi che paiono non avere più memoria di Dora; né degli eventi che determinarono, in modo diretto e indiretto, la sua scomparsa. Man mano che si procede nella lettura, riconosciamo gli sforzi dell’autore, e non solo per le difficoltà oggettive a reperire notizie sui Bruder; Modiano indugia sui dubbi che spesso lo assalgono: perché conoscere la sorte di questa ragazzina è così importante per me?

Ecco quindi che la ricerca si dirama su due ordini: uno, spazio-temporale: seguiamo l’autore nelle ricognizioni dei luoghi di Parigi dove Dora ha vissuto; testimoniamo con lui il mutamento della città: e come l’oblio si sia posato non solo sui Bruder, ma su migliaia di ebrei in una Parigi governata dai collaborazionisti. Spesso la sovrapposizione fra l’epoca della scomparsa di Dora, e quella della ricerca da parte di Modiano, si manifesta nei muri di un edificio, in un registro scolastico, in un documento comunale; ma anche nel dialogo con un uomo sfuggito alle retate dei collaborazionisti, avvenuto molto prima che l’autore leggesse l’annuncio della ragazza scomparsa.

La ricerca si sviluppa, perciò, anche su un piano emotivo: per conoscere veramente la sorte di Dora, l’autore deve attingere ai propri ricordi, custoditi nell’interiorità. E’ così che scopre la vera sorgente da cui nasce la curiosità per la ragazzina: riannodando idealmente i legami con il proprio padre, Albert Modiano, interrotti da adolescente, e mai più ricuciti. E comprende che era stato il genitore a seminare il terreno in cui è poi germogliata questa ricerca decennale. Anche il padre visse a Parigi durante il periodo dell’occupazione nazista; anch’egli fu arrestato e, come Bruder, trasferito in un commissariato in attesa della deportazione.

Una ventina di anni dopo, negli anni ’60, per le circostanze della vita, un simile viaggio in un furgone di polizia verrà affrontato di nuovo: da un Modiano diciottenne accanto al padre Albert, arrestati per disturbo della quiete pubblica; stavano litigando per una questione di soldi. Quel viaggio in furgone si trasforma in una porta multidimensionale, dove si incrociano i destini dei personaggi di questo racconto: il giovane sperimenta la perdita di libertà vissuta da suo padre vent’anni prima; e da scrittore percepisce l’angoscia di Dora, e di tutte quelle persone che le autorità parigine internarono, e poi spedirono verso la morte. Ma quel viaggio in furgone, negli anni ’60, segna in modo profondo la vita di Patrick Modiano: è la frattura insanabile con il genitore.

Si comprende, perciò, che quella ricerca rappresentasse il tentativo dell’autore di riappacificarsi con il ricordo del padre; e risarcirlo, in qualche maniera, per la scomparsa di sé figlio dalla sua vita. La decisione di scrivere il racconto, però, risponde a un chiamata civica: con Dora Bruder, ecco che Modiano dissotterra la colpa della Parigi occupata. Ha riportato alla luce le responsabilità individuali, dei francesi che eseguirono gli arresti e le deportazioni; e quelle collettive, dei cittadini che rimasero annidati nella paura, indifferenti alla persecuzione degli ebrei, e agli arresti di chi si oppose ai nazisti. Colpe e responsabilità rimosse per decenni, cancellate come edifici d’intralcio in un nuovo piano urbanistico: perché la Francia del dopoguerra doveva rinascere libera, vittoriosa, e nel giusto.

Non c’è, però, un senso di rivalsa o vendetta nel racconto di Modiano: ma la convinzione che la memoria di quei fatti non vada persa, affinché ad altri innocenti non tocchi la sorte di Dora Bruder. Alla quale la città di Parigi, a oltre 70 anni dall’assassinio, ha dedicato un viale: la Promenade Dora Bruder.

Di Cristiano Arienti 

PS: un ringraziamento al gruppo di lettura di Porta Venezia.

In copertina: La retata del Velodromo, del 16 luglio 1942, quando 13.152 ebrei furono radunati dalla polizia francese – sotto il Governo di Vichy – per essere trasferiti ad Auschwitz.

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