Etty Hillesum, l’Olocausto e i non-vaccinati: il dolore di un paragone

Amsterdam, 3 luglio 1942: Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cosa c’è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall’altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia. […] Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite. […] Ma credo che vivere nell’amore per l’azione e lasciar vivere nella comprensione della volontà altrui, sia la massima fondamentale degli uomini liberi.

Questi passaggi sono tratti dal Diario 1941-1943 di Etty Hillesum, autrice olandese di origini ebraiche assassinata ad Auschwitz, dai nazisti, a soli 29 anni; il brano avrebbe dovuto aprire una puntata di “Emozioni tra gli scaffali“, un programma della mia amica Daniela Franzoni, trasmesso mensilmente attraverso Novate Podcast Lab, canale dello storico “Circolo Sempre Avanti A. Airaghi” di Novate Milanese. La proposta di dialogare sul Diario era arrivata dalla signora Caterina, “nonna e mamma curiosa”, nel rispetto della regola del programma: l’ospite parla di un libro per leggere l’attualità. A Daniela l’idea era sembrata interessante, e attinente con notizie dibattute dallo scorso autunno: le rimostranze contro il green-pass, la carta di attestazione della vaccinazione anti-Covid19, guarigione dalla malattia o negatività al tampone.

Caterina aveva scelto il memoriale di Etty Hillesum, il suo percorso spirituale durante le persecuzioni naziste, come spunto per descrivere la propria interiorità: di cittadina costretta a subire le misure anti-pandemiche dello Stato; in particolare, sullo status di non-vaccinato: le emarginazioni e le discriminazioni che una minoranza della popolazione soffre a causa dell’emergenza Covid19, deriverebbero da imposizioni del Governo “ambigue e ingannevoli”.

Lungo i 6 minuti di trasmissione, introdotti da un riassunto del Diario, la conduttrice ha domandato all’ospite quale fosse il problema rispetto alle vaccinazioni, se fosse rabbia o paura; la signora Caterina ha spiegato che sente la stessa frustrazione e paura di Etty e di tutti coloro che si ribellano a coercizioni mal-motivate e ingiuste, che mettono a repentaglio il diritto al lavoro e all’autodeterminazione. Di fronte alle pacate obiezioni di Daniela, ovvero che la vaccinazione è una misura di profilassi che permette di lavorare e di muoversi liberamente in sicurezza, l’ospite spiega: chi si sottopone al vaccino è parte di una maggioranza che ha deciso di “farsi guidare”, illudendosi di raggiungere una salvezza; in verità la parte giusta è quella che si pone dubbi, e che non ubbidisce ciecamente a misure coercitive.

Vaccinarsi, ha rincarato Daniela, è sinonimo di tutela della salute individuale e collettiva, anche con il mantenimento di una sanità funzionale; Caterina però ribatte, con una certa intransigenza, che quello di salute è un concetto complesso, non riducibile a un vaccino o alla pandemia. E nella chiusura sull’esperienza di cittadina discriminata, riprende la figura di Etty, “un meraviglioso esempio di come l’uomo, anche se con fatica, possa trovare un senso al proprio destino, alla malattia, alla coercizione e all’emarginazione; attingendo con volontà al proprio spirito”. E poi: “il parallelismo con la giovane, anche se le analogie e i contesti sono diversi, è dettato dallo scivolare verso tempi ignoti e inquietanti” – così li definisce Caterina; “queste misure anti-pandemiche convogliano verso una promessa liberazione, ma in realtà portano sofferenza a molti”.

Nel Diario, Etty si domanda più volte quale sia il suo destino: se tentare la fuga mentre le spire naziste si stringono sempre di più, oppure restare, accettando di condividere il dolore inferto a un popolo intero; se scegliere l’odio verso il nemico che vuole annientare lei e il suo mondo, o pregare indistintamente per il prossimo – perfino per quel soldato tedesco che tradisce vergogna davanti agli ebrei convocati per i campi di concentramento. Etty alla fine decide di dedicarsi, nonostante il dolore fisico e psicologico, all’amore per la vita e per Dio, qualunque sia la fine che l’attende: una scelta che, nelle parole dell’olandese, non è rassegnazione, ma accettazione. Allo stesso modo, Caterina spiega: non posso evitare di chiedermi quale sia il senso di tutto questo; è importante comprendere il mio posto in questa epoca di pandemia, e quale parte scegliere.

Questi stralci di dialogo vedono la luce qui, su UmaniStranieri, ma non sono stati trasmessi a dicembre come pianificato; la redazione di Novate Podcast Lab ha rifiutato la tesi espressa nella puntata, non avendo passato i criteri editoriali – sebbene non vi fossero paletti di sorta al programma, e l’autrice individuasse in Caterina una storia attuale. Il paragone tra gli ebrei perseguitati dai nazisti e i cittadini non vaccinati è stata una notizia: basti pensare alla marcia inscenata nel centro di Novara a fine ottobre, dove decine di persone contro il green-pass sfilarono con pettorine identiche all’uniforme degli internati di Auschwitz, reggendo un finto filo spinato. A Daniela, tramite messaggio, la redazione ha così motivato il rifiuto: “l’accostamento tra l’ebrea del libro e la persona non-vaccinata non può essere condiviso; rivela una superficiale visione dei sentimenti di coloro che hanno sofferto: la privazione del nome proprio come identificativo; la privazione del cibo, dell’acqua e della sanità, e soprattutto la libertà di vivere e di essere persone”.

La lettura che Caterina fa del Diario manca in effetti di un’ultima parte, il periodo che l’autrice olandese non poté descrivere: la breve permanenza ad Auschwitz. La donna venne deportata nel campo di sterminio tra il 7 e il 9 settembre del 1943 insieme alla famiglia, cinque persone in tutto: il padre e la madre furono liquidati immediatamente; solo uno dei fratelli riuscì a sopravvivere fino alla liberazione dei soldati sovietici, ma in condizioni così disperate che spirò poco dopo.

Esther “Etty” Hillesum

Etty fu assassinata il 30 novembre 1943. Di lei internata ad Auschwitz, non si hanno altre notizie, ma ne abbiamo un ritratto: faceva parte della schiera dei “sommersi” di cui parla Primo Levi in Se questo è un uomo; la figura più sconvolgente fra tutte quelle costrette a “bisogni e a disagi fisici assillanti”:

Si rinchiudano tra i fili spinati migliaia di individui diversi per età, condizione, origine, lingua, cultura e costumi, e siano quivi sottoposti a un regime di vita costante, controllabile, identico per tutti inferiore a tutti i bisogni; è quanto di più rigoroso uno sperimentatore avrebbe potuto istituire per stabilire che cosa sia essenziale e che cosa acquisito nel comportamento dell’animale-uomo di fronte alla lotta per la vita […] Viene in luce che esistono fra gli uomini due categorie particolarmente ben distinte: i salvati e i sommersi. […] Qui la lotta per sopravvivere è senza remissione, perché ognuno è disperatamente ferocemente solo. […] Si sa che [i sommersi, uomini in dissolvimento] sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono e scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.”

Nel Diaro più volte Etty premonì la sua veloce dipartita, se rinchiusa in un “campo di lavoro”, quelli oggi conosciuti come i Campi di Sterminio:

So che morirei in tre giorni. Mi coricherei, morirei, eppure non troverei la vita ingiusta.

In questa frase ecco il nucleo della filosofia di Hillesum: accorgersi dell’orrore intorno, accettandolo come parte intrinseca dell’esistenza; sapere della morte per lei predisposta dai nazisti, ma osservarla come sponda inevitabile per apprezzare ancor di più la vita, anche nel dettaglio più scontato.

Sopra i campi ci sarà uno spicchio di cielo, e a me tanto basterà“, spiega Etty, in un gioco simmetrico in cui il cielo rappresenta la sua interiorità in espansione universale. Sempre in quel 3 luglio 1942, la giovane annotò:

E’ vero, ci portiamo dentro proprio tutto, Dio e il cielo e l’inferno e la terra e la vita e la morte e i secoli, tanti secoli. Uno scenario, una rappresentazione mutevole delle circostanze esteriori. Ma abbiamo tutto in noi stessi e queste circostanze non possono essere mai così determinanti, perché esisteranno sempre delle circostanze – buone e cattive – che dovranno essere accettate, il che non impedisce poi che uno si dedichi a migliorare quelle cattive. Però si deve sapere per quali motivi si lotta, e si deve cominciare da noi stessi, ogni giorno da capo. […] Ho guardato in faccia la nostra misera fine, che è già cominciata nei piccoli fatti; e la coscienza di questa possibilità fa ormai parte del mio modo di sentire la vita, senza fiaccarlo. Non sono amareggiata o in rivolta, non sono neppure scoraggiata o tanto meno rassegnata. Continuo indisturbata a crescere, di giorno in giorno, pur avendo quella possibilità dinanzi agli occhi. Non giocherò più con le parole che creano soltanto malintesi – per esempio: ho chiuso i conti con la vita, non può più succedermi niente, non si tratta di me e della mia distruzione ma del fatto che si distrugga.

Etty aveva intuito come la “soluzione finale” ideata dai gerarchi nazisti fosse in moto – e lo era già dall’estate 1941, quando iniziava il suo Diario: ed è perciò ancora più ammirevole come nello spirito della giovane, fra divieti, restrizioni, torture, omicidi e deportazioni, si radicassero messaggi di armonia e speranza. La sua esperienza, attraverso la ricerca interiore, racconta di come valesse la pena, anche in pieno Olocausto, di vivere la vita in ogni suo istante, con la fede in Dio e fiducia nell’uomo; la sua testimonianza, come annunciava nel Diario, doveva preparare “il terreno di pace e fratellanza per chi sarebbe giunto dopo la guerra”.

Il misticismo di Etty Hillesum non sarebbe stato possibile senza una spinta a idealizzare la realtà, perfino la morte; e a identificare ogni situazione come una prova per conoscere se stessa, trasformando la persecuzione nazista in un’epopea privata. Una filosofia opposta a quella di Elsa Morante, un’altra autrice di origini ebree ma che riuscì a sfuggire la deportazione: nel capolavoro La Storia, Morante racconta di una II Guerra Mondiale che schiaccia la vita in ogni sua forma, senza remissione; lo spirito della protagonista Ida, pur sopravvissuta al rastrellamento nazista, ne esce annientato. E’ pur vero, tuttavia, che dalle ceneri di Etty, sparse in un campo non lontano da Auschwitz, è incredibilmente sbocciata una lezione ideale per tutta l’umanità: abbandonare ogni tentazione di odio per essere davvero liberi; e perseguire l’unica cosa che conta: l’amore.

Ecco che il Diario 1941-1943 diventa il patrimonio di chi coltiva la memoria dell’Olocausto, ma non solo: quelle pagine, sofferte ma semplici, diventano una chiave per accedere alle profondità del proprio essere; il lettore entra in contatto con l’intima coscienza in rapporto con il male incomprensibile che a volte si affaccia nella vita.

Non sorprende quindi che la Hillesum, la scorsa primavera, venne scelta da Mauro Scardovelli, psicoterapeuta e attivista con un grande seguito online, come “maestra spirituale indispensabile in questo periodo per poter salvarsi dal disastro a cui stiamo andando incontro”. Scardovelli, fin dagli albori della pandemia, definisce il Covid19 come una falsa emergenza: una malattia perfettamente curabile, trasformata in un grimaldello delle élite per resettare la società democratica e imporre un nuovo tipo di globalizzazione, incentrata su una dittatura sanitaria. Ha anche scritto la prefazione al libro Il Dio Vaccino, di Tiziana Alterio, un’indagine su come la profilassi di massa abbia l’unico scopo di arricchire le multinazionali farmaceutiche mettendo in pericolo la salute dei cittadini.

Uno dei passaggi letti in “Emozioni tra gli scaffali” è per altro adiacente a un brano proposto da Scardovelli; e viene il dubbio che la signora Caterina segua lo psicoterapeuta, punto di riferimento della galassia dei non-vaccinati e dei no-green-pass; e per questo abbia pensato al Diario per dare forma al sentirsi “emarginata”, in quello che la Alterio, nel suo libro, definisce “apartheid sanitario”.

Il dolore di un paragone

Apartheid e dittatura sono ormai termini abusati dal fronte di chi rifiuta le misure adottate in Italia e Occidente, escogitate per limitare la pandemia; restrizioni, confinamenti (lockdown), divieti, uso di mascherine, didattica a distanza, smartworking, hanno ridefinito una società in modalità da sopravvivenza. L’obiettivo è sempre stato arginare la diffusione del virus per cui non esistono cure protocollate affidabili; ed evitare il collasso degli ospedali, dalla cui operatività dipende il funzionamento della struttura civica. Al tempo stesso, mandare avanti, nel limite del possibile, ogni attività umana che richiede presenza: dal lavoro alla scuola, dai trasporti alla ristorazione, dallo svago allo sport; evitando il collasso economico, scongiurato in Italia grazie all’Unione Europea tramite la condivisione del debito.

Con il perdurare dello stato d’emergenza, però, sono sorte le proteste: alimentate da partiti politici e intellettuali, e spesso lanciate dai singoli cittadini attraverso il potere coalizzante dei social media. Con il procedere della campagna vaccinale, dalle parole si è passati alle manifestazioni di piazza e disubbidienza civile: l’introduzione di un lasciapassare per accedere a luoghi di socialità, servizi e luoghi di lavoro, ha scatenato la reazione di coloro che rifiutano il vaccino: l’hanno definito anti-costituzionale, perché forzerebbe ad accettare un trattamento sanitario spacciato per “volontario”.

Il rifiuto, per altro, ha diverse radici: in primis, l’esitazione vaccinale, anche dovuta alle reazioni avverse che, più o meno gravi, in minima percentuale si verificano; fino all’idea che il vaccino sia “sperimentale”, e addirittura più dannoso rispetto al Covid19. Non ha aiutato l’informazione, quella televisiva spesso votata all’intrattenimento più che all’approfondimento; né una comunicazione istituzionale poco puntuale, e a volte disastrosa; come l’audizione in Commissione Senato di Giorgio Palù, Presidente AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco): lo scorso dicembre menzionò 600 casi sulla correlazione tra vaccini e decessi, citando un rapporto dell’AIFA che in realtà ne aveva accertati 16, e fra questi parecchi malati di Covid.

La ritrattazione di Palù arrivò, ma le sue parole hanno rinfocolato la tesi che le “vittime” potessero essere migliaia, e attizzato il sospetto che le reazioni gravi fossero in numeri più elevati. Nella realtà sono correlazioni irrazionali, ma per gli anti-vaccinisti diventano una verità: la tambureggiano sui media in una battaglia narrativa, o auto-convocandosi nelle piazze, per “liberarsi” dall’imposizione del green-pass. Eventi avversi vanno segnalati, indagati e studiati: tuttavia quasi tutti quelli denunciati dal fronte non-vaccinati sono inventati: ma reale è il dolore per le presunte “vittime”. Se vengono campati per aria “piani segreti” sul perché i Governi stanno promuovendo la profilassi di massa, la paura di effetti indesiderati non è un capriccio; tuttavia si è talmente radicata nella mente delle persone da diventare ideologica. Tanto più che questo dolore, la paura e l’ideologia, si basano su tutto il materiale online che mette in cattiva luce i vaccini, soprattutto quelli a mRNA; spesso con un pregiudizio capace di distorcere perfino quegli studi che ne confermano l’efficacia e l’utilità; e il ricorso a notizie artefatte, in un’opera di auto-convincimento settario. Questo approccio deborda in stati di negazione sulla natura del Covid19, e le conseguenze della pandemia: è più facile rifiutare i vaccini se si considera la malattia poco più di un’influenza, e l’emergenza una forzatura anti-democratica.

A questo si aggiunga il miraggio delle “terapie domiciliari”, quelle al di fuori del protocollo sanitario nazionale, offerte da medici in maggioranza anti-vaccinisti; finora i farmaci a disposizione possono essere d’aiuto, ma senza la certezza che la malattia non si aggravi devastando il paziente.

Su tali premesse sono nati il “Comitato 15 Ottobre” e la Commissione “Dubbi e Precauzioni (DuPre)”: si pongono in antitesi all’azione coordinata tra Governo e Comitato Tecnico scientifico; addirittura è spuntato un “comitato di liberazione nazionale” (cln), su ispirazione del CLN, il fronte anti-Nazi-Fascista da cui nacquero Repubblica e Costituente, contro la presunta dittatura sanitaria.

Ed è tutto giocato sulla dicotomia imperante nel post-2020: la libertà del singolo cittadino di rifiutare un trattamento sanitario, garantita dall’articolo 32 della Costituzione, opposta al patto civico di proteggere la salute collettiva, dei vaccinati e degli anti-vaccinisti, anch’esso esplicitato nel medesimo articolo; il secondo fattore sta prevalendo anche nelle sentenze dei tribunali, che riconoscono nelle misure finora adottate un beneficio per l’intera comunità superiore al diritto individuale.

L’azione dello Stato è diventata ancor più condivisa con la larga maggioranza parlamentare del Governo Draghi. E l’assenza di una forte opposizione partitica e sindacale alle misure anti-pandemiche ha attivato la ribellione spontanea contro la profilassi di massa; una lotta per difendere, nelle parole dei leader del “Comitato 15 Ottobre”, del “DuPre” e del “cln”: il cittadino contro il sistema, la giustizia contro il male, la verità contro la menzogna, l’autodeterminazione contro il pericolo di una “sperimentazione sanitaria” o i soprusi di restrizioni e confinamenti.

Se questa è la retorica che amalgama il fronte degli anti-vaccinisti e anti-green-pass, non stupisce il ricorso all’apartheid per esprimere l’indignazione per l’emarginazione subita; e il dolore interiore per un mondo che va al rovescio: lo Stato sta sbarrando ogni alternativa alla profilassi, trascinando i riottosi sulla via di un centro vaccinale. La marcia inscenata a Novara non è un episodio: è un paragone che rimbalza nelle manifestazioni di piazza, sui social media, in televisione, nei saggi, nelle conferenze; e perfino nei dialoghi con l’amico, i parenti o la collega: i quali giustificano il rifiuto al vaccino come un segno di libertà individuale, e resistenza contro un regime oppressivo.

Il piano aggiornato del Governo è sempre a breve e medio termine; ma è mediato da indicazioni di tecnici e medici, nel quadro di un ampio consenso scientifico: ogni mossa, compresa la campagna vaccinale, mira a salvare vite. Come è accaduto questo autunno con l’Italia capace di gestire l’ondata della variante delta; in Germania, con una relativamente bassa percentuale di vaccinati e senza green-pass, tra novembre e dicembre si registrava una media settimanale di 400 decessi al giorno; una strage nel Paese con il numero di letti ospedalieri e postazioni di terapia intensiva più alti d’Europa. I non-vaccinati e i no-green-pass, nelle loro frange estreme, sono arrivati a equiparare le scelte del Governo al tentativo nazista di eliminare fisicamente un intero popolo dall’Europa.

E quei cittadini “a cui sta bene ubbidire e farsi guidare”, secondo la descrizione della signora Caterina, vengono assimilati ai tedeschi nel 3° Reich: quelli tacevano durante le persecuzioni degli ebrei, o addirittura le appoggiavano; oggi la stragrande maggioranza di italiani sarebbe silente di fronte alla persecuzione dei non-vaccinati, e perfino entusiasta.

Un paragone che genera dolore; e non perché, come letto sui social, “la verità fa male e il cervello cerca di rifiutarla”; l’accettazione del vaccino abbraccia la speranza che nessuno debba soffrire a causa del virus: in forma diretta, contraendo la malattia, o in forma indiretta, con la cancellazione della sanità di routine per dedicare spazi e risorse ai pazienti Covid. E fa ancor più male perché proveniente da persone che hanno abdicato al patto costituzionale sul diritto alla salute come un bene comune in un periodo di emergenza: perché la Campagna abbia davvero successo, non basta la barriera del singolo individuo; ma il muro collettivo di un popolo intero.

La variante omicron, con la sua alta contagiosità e capacità di “bucare” i vaccini, in poche settimane ha mutato la situazione; ma ancora oggi sono i non-vaccinati a essere contagiati molto di più, e a loro volta contagiare molto di più; e nella stragrande maggioranza, sono loro a finire negli ospedali. Se è successo in Germania, può accadere anche qui; di nuovo, come la prima e la seconda ondata del 2020, quando però non avevamo lo strumento dei vaccini ma dei lockdown.

Per questo motivo la profilassi di massa sta diventando obbligatoria per ulteriori fasce e categorie di popolazione, e non solo in Italia; la sfida è impedire che il virus diventi endemico, e che nel suo percorso, ondata dopo ondata, mieta altre, troppe vittime, distruggendo il nostro tessuto economico, sociale e psicologico. E’ un obiettivo perseguito in tutti gli Stati del mondo, con varie misure: in Cina, ad esempio, intere metropoli vengono poste in confinamento con pochi contagi; e in alcuni Paesi si è ricorsi a tracciamenti capillari e invasivi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) da tempo insiste sulla necessità di una profilassi di massa globale: “la pandemia non terminerà mai se la protezione e la sicurezza garantite dai vaccini non verranno estese al mondo intero”, ripete il Direttore Generale Tedros Ghebreyesus.

A livello nazionale e globale, la strada è segnata: non per opprimere, bensì per salvare. Tuttavia non si può sradicare così facilmente l’idea, coltivata da milioni di anti-vaccinisti, che sia sbagliata; né la convinzione che il diritto individuale sia superiore a un beneficio collettivo. Il loro sentirsi discriminati però non può essere silenziato; e va registrato perfino quando si assimilano agli ebrei perseguitati dai nazisti: un paragone da condannare – la Comunità ebraica l’ha definito vergognoso; ma che tuttavia denuncia un malessere vero: perché il lasciapassare ha un impatto grave nella vita di chi rifiuta il vaccino; ed è uno strumento che impone uno sguardo vigile, in attesa della fine dell’emergenza.

Dopo la comunicazione che la puntata con Caterina e la lettura che fa del Diario 1941-1943 non sarebbe stata trasmessa, Daniela Franzoni ha interrotto la collaborazione con Novate Podcast Lab: “Non posso accettare questo tipo di censura, perché allora si dà un po’ ragione agli anti-vaccinisti, che si sentono esclusi. Sul paragone tra l’esperienza di Etty e quella della signora Caterina ognuno avrebbe avuto gli strumenti adeguati per farsi un’idea propria.”

Ecco le parole di Daniela a chiusura della puntata mai trasmessa: “Ai nostri giorni il concetto di salute si è dilatato: non significa più soltanto assenza di malattia, ma è sinonimo di benessere: quindi la salvezza la possiamo trovare nell’armonia psichica, nella ricchezza relazionale, e nella forza creativa e spirituale. E penso che il dissenso, importante in democrazia, e se rispettoso delle norme di salvaguardia altrui e non violento, ci possa far riflettere sul rapporto tra salute e salvezza comunque la intendiamo.”

Resta il fatto che alla redazione di Novate Podcast Lab non si può negare una propria linea editoriale. Comunque il lavoro di Daniela Franzoni, ospitando la signora Caterina, ha avuto un grande merito: far conoscere a me Hillesum, il suo amore per la vita e il suo calvario di perseguitata; ho scoperto la sua filosofia e purezza mistica, e il pensiero sulla letteratura. Ecco la pagina del Diario di Etty, prima di essere internata per la seconda volta, e definitivamente, a Westerbork, il campo di concentramento da dove gli ebrei, con i rom, venivano smistati nei Campi di Sterminio:

Quando soffro per gli uomini indifesi, non soffro forse per il lato indifeso di me stessa? […] Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati, e da tanto tempo. Finisco sempre per tornare a Rilke. E’ così strano, Rilke era un uomo fragile e ha scritto gran parte della sua opera tra le mura di castelli ospitali, e magari sarebbe stato distrutto dalle circostanze in cui ci troviamo a vivere noi. Ma non è proprio questo un segno di buona economia[?] – Il fatto che, in circostanze tranquille e favorevoli, artisti sensibili possano creare indisturbati la forma più giusta e più bella per le loro intuizioni più profonde [?]; e che poi, in tempi più agitati e debilitanti, queste stesse forme possano offrire appoggio e protezione agli uomini smarriti? […] In tempi difficili si tende a disprezzare le acquisizioni spirituali di artisti vissuti in epoche cosiddette più facili (ma essere artista non è di per sé abbastanza difficile?), e si dice: tanto, cosa ce ne facciamo?

E’ un atteggiamento comprensibile, ma miope. E rende infinitamente più poveri.

Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.

Fine

Di Cristiano Arienti

In copertina: dettaglio del monumento presso il Memoriale di Westerbork, in ricordo delle vittime del nazismo deportate verso i Campi di Sterminio.

Westerbork
Memoriale di Westerbork

Link e letture utili

Etty Hillesum – Diario 1941-1943 – Adelphi

La Storia – Elsa Morante

Se questo è un uomo – Primo Levi

Novate Podcast Lab – canale dello storico Circolo Sempre Avanti A. Airaghi

https://www.lastampa.it/novara/2021/11/06/video/novara_la_leader_no_vax_e_assente_ma_cori_e_applausi_sono_per_lei_noi_siamo_giusy_-404576/

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