Greta Thunberg, Francesco Costa, e l’errore di bersaglio

“L’idea che i mancati progressi sul Riscaldamento Globale si debbano addebitare innanzitutto ai grandi Paesi sviluppati e industrializzati, o alle più ricche multinazionali, è purtroppo molto lontana dalla realtà.”

Non si può perdonare una simile apertura per un pezzo, a firma del Vice-Direttore del Post Francesco Costa, sui colpevoli dell’inadeguata risposta al Riscaldamento Globale; a maggior ragione perché censura una ragazzina svedese che a settembre decise di protestare in solitaria contro l’insufficiente azione del suo governo per limitare i Cambiamenti Climatici. Greta Thunberg si è piazzata davanti al parlamento e su un cartello ha annunciato il suo sciopero scolastico a oltranza; fino a una presa di coscienza che la crisi climatica, nonostante i proclami, viene trascurata. Tutti i venerdì la trovi seduta lì per terra, col sole o sotto le intemperie: se le si pianta intorno una botte, Greta può passare per una moderna Diogene, il filosofo greco che predicava la ferrea disciplina, in armonia con la natura, per ottenere risultati. Col tempo la stampa si è accorta di lei, dandole spazio mediatico; e come Diogene attirò alla sua botte Alessandro Magno, così lei ha attratto l’attenzione di quella classe dirigente contro cui si scaglia.

Dopo otto mesi Greta, supportata dal suo gruppo ambientalista di riferimento, ha mobilitato una platea a livello globale: il 15 marzo 2019 sono scesi in piazza oltre un milione di studenti e attivisti per condividere il suo messaggio:

“Fino a quando non inizierete a concentrarvi su ciò che è necessario fare, piuttosto che su ciò che è politicamente possibile, non ci sarà speranza. Non possiamo risolvere una crisi senza trattarla come tale. Dobbiamo tenere il carbon-fossile sottoterra, e dobbiamo concentrarci sull’equità.”

Questo è il passaggio-chiave del discorso che ha tenuto a Katowice, lo scorso dicembre, davanti ai leader della COP24; è la Conferenza delle Parti sotto l’egida delle Nazioni Unite, che ogni anno riunisce governi e organizzazioni per avanzare nel contrasto al Cambiamento Climatico antropico.

Le parole della sedicenne rispecchiano la visione della comunità scientifica. Lo scorso ottobre l’IPCC (International Panel on Climate Change) ha pubblicato un Report con due scenari di Cambiamenti Climatici: il primo, legato a un aumento di temperatura di 1,5°C entro il 2100 rispetto all’epoca pre-industriale; il secondo, a 2°C; le differenze sono enormi, sebbene entrambi rientrino negli obiettivi fissati alla COP21, tre anni fa. Il problema, come riportato dal New York Times, è che le riduzioni di gas serra a oggi fissate nell’Accordo di Parigi porterebbero a un aumento di almeno 3°C. Greta, quindi, traduce con parole elementari un concetto che gli scienziati non riescono a imprimere: le emissioni di gas serra, senza un taglio drastico, provocheranno mutamenti geofisici rapidi e titanici, con conseguenze imprevedibili.

Dal discorso di Katowice, Francesco Costa, per introdurre il suo attacco a Greta (zuccherato con tono paternalistico) ha invece estratto un altro passaggio:

“La nostra biosfera viene sacrificata per far sì che le persone ricche in Paesi come il mio possano vivere nel lusso. Molti soffrono per garantire a pochi di vivere nel lusso.”

La colpa di Greta sarebbe puntare il dito, con slogan “populisti”, solo contro i Paesi occidentali ; che invece, secondo il Vice-Direttore del Post, sono da lodare: perché, sintetizzando, i loro governi sarebbero i veri promotori della lotta al Riscaldamento Globale e l’inquinamento; questo, nonostante l’indisponibilità del “popolo”, e dei Paesi come India e Cina, ad agire.

I problemi di tale impostazione sono molteplici: innanzitutto l’assimilazione tra aerosol inquinanti, una piaga ovunque ma soprattutto in Asia, ed emissione di gas come la CO2: i secondi, altamente climalteranti, rimangono nell’atmosfera oltre un secolo. E’ la ragione che ha determinato il fallimento della COP15 di Copenhagen, nel 2009: Cina e India si rifiutavano di ridurre la medesima quantità di gas climalteranti di Stati Uniti e Europa, che hanno alle spalle due secoli di emissioni di CO2. Per Pechino e Delhi quei tagli avrebbero strozzato un progresso avviato con la recente industrializzazione.

Non a caso Greta, nel discorso di Katowice, ha parlato di “equità”: solo con uno sforzo globale, ma equilibrato, è possibile ottenere risultati. Di nuovo: non è un’invenzione della sedicenne, ma è la base dell’Accordo di Parigi, con i contributi volontari di riduzione delle emissioni (NDC), e il lancio del Green Climate Fund per i Paesi in via di sviluppo.

La Cina oggi emette la maggior quantità di CO2 nell’atmosfera, e secondo Costa dovrebbe essere il bersaglio di Greta; ma Pechino si sta imponendo come leader nelle fonti rinnovabili, con l’ambizione di una rapida transizione energetica, mantenendo il ciclopico passo di crescita degli ultimi tre decenni. Reso possibile dalla Globalizzazione, e dai piani di delocalizzazione dell’industria occidentale. Fattori annotati da Costa, ma considerati minori nell’inadeguata risposta ai Cambiamenti Climatici

Ricapitolando: le multinazionali trovano il modo di sfuggire a regole per contrastare le emissioni (e per proteggere i lavoratori), peggiorando la crisi climatica; però Greta sbaglia a prendersela con loro. O con i governi di Usa e Europa; i quali favorirono l’entrata della Cina nel WTO (Organizzazione Mondiale per il Commercio), per speculare sul far-west normativo in tutti gli ambiti di produzione industriale.

I governi, insomma, stanno cercando di porre rimedio a una situazione che loro stessi hanno stimolato e poi scansato. Negli anni ’80 e ’90 scienziati climatici come James Hansen avevano già messo in guardia contro i pericoli dell’effetto serra; tanto che si arrivò, nel 1997, al Protocollo di Kyoto: la comunità internazionale si accordava per la prima volta per contrastare il Riscaldamento Globale antropico.

Fu il governo degli Stati Uniti, da molti decenni il maggior produttore di CO2 pro-capite, a sfilarsi. L’Amministrazione Bush minò lo sforzo planetario abbracciando tesi che rigettavano l’incidenza umana nel Riscaldamento Globale; è famosa la COP del 2007, in Indonesia, quando la rappresentanza Usa venne contestata per il sabotaggio ai lavori.

Anche con l’Amministrazione Obama, alla COP21, si rischiò il fallimento: gli Stati Uniti tennero in sospeso il testo finale sino all’introduzione di un “should” (dovrebbe), al posto di un “shall” (dovrà); cancellando il vincolo di presentare contributi di riduzione di gas serra sempre maggiori. L’allora Segretario di Stato John Kerry si giustificò così: quel tipo di impegno forzava un voto al Congresso, con conseguente bocciatura dell’Accordo.

E’ anche per questo che James Hansen ha bollato l’Accordo di Parigi come una frode.

Questo, prima che alla Casa Bianca finisse Donald Trump: il quale nega il fenomeno; lega il successo della sua Amministrazione alla proporzione inversa “più occupazione/meno regolamentazione”; e ha preannunciato che gli Stati Uniti usciranno dall’Accordo di Parigi. Un modello per altri capi di governo sparsi nel mondo, che minacciano di ostacolare, e l’hanno già fatto, la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC).

E’ in tale contesto economico-politico che Greta ha maturato la sua scelta: una lotta radicale, in prima persona. Ecco cosa ha affermato a Katowice:

“quando avrò 70 anni mi chiederanno di voi, e del perché non avete fatto niente, quando ancora c’era tempo per agire; dite di amare i vostri figli sopra ogni cosa; eppure gli state rubando il futuro proprio sotto agli occhi. […] Se all’interno del sistema non si riesce a cambiare questo stato di cose, forse è il momento di cambiare il sistema.”

Di nuovo, non è la visione “ingenua” di una sedicenne, ma la sintesi di teorie proposte da una lunga schiera di accademici e filosofi, non ultimo Emanuele Severino: la crisi climatica è destinata a peggiorare per la natura auto-distruttiva e rapace del capitalismo (vedi 2008). I leader politici sarebbero chiamati a porre un freno, ma spesso abdicano a questo compito. Perché non sono i governi (occidentali) in quanto tali, come scrive Costa, a portare avanti questa lotta – nel 2008 il Governo Berlusconi provò a bloccare l’accordo UE sul Clima; sono le persone a fare la differenza: a partire da chi, magari dopo una militanza ambientalista, raggiunge ruoli decisionali in ministeri e organizzazioni. Ma anche il singolo cittadino è fondamentale: questo Greta lo sa:

“ognuno, nel suo piccolo, può fare la differenza”

La sedicenne parla per se stessa, spiegando ad esempio perché è diventata vegana; e poi a nome di tutte quelle persone che a modo loro non si sono arrese all’inadeguatezza delle classi dirigenti.

“Non siamo venuti qui a implorare i leader del mondo di darci retta, ci avete ignorato nel passato, e ci ignorerete in futuro. E’ finito il tempo delle scuse; non c’è più tempo; siamo qui per dirvi che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o meno. Il vero potere appartiene alla gente.”

Questo passaggio – the real power belongs to the people – Costa lo ha tradotto con “il potere appartiene al popolo”; inserendo il linguaggio di Greta, che non è anglofona, nello schema “rappresentanza partitica/populismo”; le parole della ragazzina suonerebbero come gli artifici retorici che hanno fatto vincere Trump negli Stati Uniti, o il “leave” in Gran Bretagna; e sono distintivi di movimenti come i Gilet Gialli, o i 5 Stelle.

Il discorso di Greta è invece un grande mantra motivazionale, per svegliare le coscienze.

Per il giornalista, però, puntare il dito contro i pochi che ottengono profitti osceni con il carbon-fossile, o spiegare che uno stile di vita lussuoso, ma insostenibile, va a scapito di molti, sarebbe populista. Invece è il riassunto di una dinamica sotto gli occhi di tutti: in Italia, in Svezia, negli Stati Uniti, ma anche in Cina; dove infatti l’ambientalismo è una questione sempre più rilevante per la stabilità del regime.

La sedicenne sta indicando ai suoi coetanei una lotta di generazione. Tuttavia il suo impegno diventa, per Costa, materia politica spiccia: Greta dovrebbe cambiare bersaglio: prendersela con quello stesso “popolo”, insensibile all’ambientalismo.

Un ritratto ingiusto per tutti quelli, e sono tanti, che hanno compreso la sfida del Cambiamento Climatico antropico: e stanno modificando il proprio stile di vita per ridurre le emissioni; si spiega così, ad esempio, la crescente diffusione delle fonti rinnovabili, e l’interesse del mercato per la Green Economy. L’approccio delle multinazionali alla questione sta cambiando non per un’illuminazione, ma per una sempre maggiore sensibilizzazione del cittadino/consumatore. Questo, nonostante la confusione che la stampa, spesso compromessa con l’industria del carbon-fossile, provoca: solo di recente l’informazione generalista ha iniziato a presentare il Riscaldamento Globale antropico come una scienza; ma ancora oggi si assiste a dibattiti sul fenomeno, come se ancora fosse da acclarare.   

E’ il pezzo del Vice-Direttore del Post, insomma, a sbagliare il bersaglio; dovrebbe riconoscere che “il popolo” contro cui si scaglia è stato sviato per troppo tempo dalla stampa; che rimane fra i veri colpevoli dell’inadeguata risposta al Cambiamento Climatico. E forse dovrebbe riflettere sull’arringa di Greta: non è destinata a una massa indistinta per abbattere il sistema, ma a ogni individuo/cittadino che è disposto ad ascoltarla; con il vero obiettivo di cambiare in meglio le prospettive del futuro.

Di Cristiano Arienti

In copertina: Greta Thunberg – foto Hanna Franzen AFP/Getty Image

Link e Fonti utili

https://www.climalteranti.it/

https://www.youtube.com/watch?v=C1fwrWc-g_A&t=50s (COP13 a Bali, 2007)

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