Da Jovanotti e Franzen, a Greta Thunberg: visioni e clima

“Bisogna parlare di ecologia con dati alla mano, ma senza caccia alle streghe”. Questo è un passaggio saliente dell’intervista di Lorenzo “Jovanotti” rilasciata al WWF, partner del Jova Beach Party. Un dialogo per raccontare la genesi del tour estivo della pop-star; e descriverlo come l’occasione per affrontare i problemi della Terra: dall’inquinamento da plastica, alla preservazione degli ecosistemi, al Riscaldamento Globale antropico.

Un messaggio che “sullo sfondo del mare, del tramonto, e con la musica nelle orecchie, viaggia sull’onda dell’emozione.”

“Un concerto, commenta Elena Granata – docente di Urbanistica al Politecnico di Milano – ha la possibilità di arrivare a migliaia di individui e di persuaderli a un cambio di sguardo.”

Però, come spiega Jovanotti, “è importante lanciare il messaggio senza inculcare sensi di colpa, perché è sbagliato e controproducente; la gente altrimenti reagisce male, la metti in una situazione di risentimento.”

E avverte generalizzando: “Se io mi devo comportare bene perché qualcuno mi fa sentire in colpa, allora io farò di tutto per comportarmi male”.

L’intervista è stata pubblicata dal WWF a inizio luglio, quando erano già scoppiate le polemiche per la scelta di piantare il tour sulle spiagge, ecosistemi fragili: a farne le spese, sarebbero specie protette come i fratini e le tartarughe caretta caretta. Una data, per questioni ambientali, è stata spostata; e un’altra, cancellata; ma il tour si è svolto: con una quindicina di spiagge prima solcate da scavatrici, poi calpestate da 40.000 fan danzanti.

L’impatto ambientale c’è stato, come ad esempio a Lido degli Estensi; tanto da mettere sotto la lente il ruolo del WWF a difesa del Jova Beach Party. La Fondazione, per altro, ha ammesso di non aver preso parte alla scelta dei luoghi.

Accuse che hanno fatto scattare Jovanotti all’inizio di settembre, con il famigerato post su Facebook: “Il mondo dell’ambientalismo è più inquinato delle fogne di New Dheli”; tirando in ballo Lagembiente ed ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali), organizzazioni con centinaia di presidi sul territorio, che avevano segnalato criticità in almeno tre tappe.

Può sembrare l’esasperazione di un cantante che “in quelle spiagge ha portato gioia, messaggi seri sui comportanti adottabili da subito per ridurre il proprio impatto ambientale, amore, cultura, economia, goduria, coraggio, spirito avventuroso e originalità”.

O forse è il risentimento di chi ha avuto una visione: “la grande festa sulla spiaggia in stile Fatboy Slim”, realizzandola nonostante le “difficoltà tecniche”. La perplessità di portare le masse fuori dagli spazi per concerti, e riversarle su ecosistemi fragili, è stata superata con un ribaltamento di prospettiva: il Jova Beach Party deve essere un evento”ambientalista”; messo in piedi proprio “nel Paese dei no, pieno di fermate e di stop”; rappresentato, come si legge nel post, anche da chi preserva il territorio, e quella “visione” la sta rovinando.

Il rifiuto del senso di colpa per l’impatto sugli ecosistemi è connaturato all’ego dell’artista. Si ascolti Jovanotti su Greta Thunberg, l’attivista di “Fridays for the Future”, movimento di lotta ai Cambiamenti Climatici nato in un periodo critico per l’Accordo di Parigi. Spiega la pop-star: “Si tende a dichiarare come santo qualcuno al primo movimento […] invece l’impegno nell’ecologia va radicato, soprattutto nella conoscenza dei problemi; […] all’inizio, di questo movimento ero contento, ma quando ho visto i media intervistare questi ragazzini come se fossero un fenomeno da baraccone, mi sono messo sull’attenti: l’ecologia non è una moda.”

Insinuando che il movimento Fridays for the Future, che lancia appelli ad ascoltare la scienza, sia benissimo sostituibile, un domani, con un altra moda: ad esempio “con i pantaloni a zampa di elefante. […] E invece il movimento, spiega Jovanotti, ha bisogno di tante altre cose; anche di un evento come il Jova Beach Party”. Che è a tutti gli effetti – pur inondando di gioia migliaia di persone – un evento a scopo di lucro.

E sempre parlando di Greta, raffina il suo approccio all’ambiente: “Di Greta ce ne devono essere mille; ma non dobbiamo nemmeno sentirci in colpa se non siamo come lei; una bambina di 16 anni non si deve sentire sbagliata perché non è Greta.”

Una frase che fa da scudo a un altro ragionamento, sugli idrocarburi, e il nostro modo di alimentarci di energia: “Non si tratta di demonizzare; io non punto il dito contro nessuno”.

Quel “nessuno” sono le industrie del carbon-fossile, che nelle ultime decadi hanno oscurato la minaccia dei gas serra, e frenato l’azione della politica contro il Riscaldamento Globale; come Eni, sponsor di un tour di Jovanotti del 2013.

Una “colpa” espiata dall’artista finanziando un’azienda che, attraverso la piantumazione di alberi, compensa l’impronta carbon-fossile che lasciamo guidando la macchina, accendendo i fornelli, o facendo la doccia; o realizzando 20 concerti.

Ecco quindi, nella visione di Jovanotti, che “l’umanità deve evolversi, progredire, cambiare passo; senza inseguire l’utopia che tutto possa cambiare in pochi anni”; un discorso valido sia per la plastica che per il carbon-fossile.

“Soprattutto senza catastrofismi” – una critica agli appelli di Greta; ma, in perfetta retorica jovanottiana, “con un grande, grande ottimismo”.

Profondo pessimismo nutre invece il romanziere americano Jonathan Franzen, quando si misura con i Cambiamenti Climatici antropici: “E se la smettessimo di fingere [che il problema sia risolvibile]?”. E’ il titolo di un saggio pubblicato all’inizio di settembre sul New Yorker, in cui l’autore di Freedom e Purity, appassionato naturalista, ripete un concetto espresso in precedenza: “l’emissione di gas serra, in particolare nelle ultime decadi, sta creando le condizioni per una prossima apocalisse – concetto balbettato dagli scienziati; “se hai meno di 30 anni, è molto probabile che assisterai, nel corso della tua vita, a incendi sterminati, immense alluvioni, centinaia di milioni di rifugiati climatici, emergenze alimentari, siccità permanenti: ci sono due modi di reagire: sperare che la catastrofe sia evitabile; oppure ripensare al significato di speranza”.

La via suggerita da Franzen, è di abbandonare l’idea di impostare la propria vita, sul piano individuale e collettivo, per vincere questa sfida; altrimenti ci sveglieremmo ogni mattina con la visione di morte che, nostro malgrado, piagherà l’umanità a causa del Riscaldamento Globale. Al contrario, bisogna alzarsi con l’idea di fare colazione, e pensare a come possiamo agire, oggi, per difendere gli ecosistemi. Perché in fondo difendere una specie di volatile è un’azione climatica; perfino difendere la democrazia è un’azione climatica, se le decisioni vengono prese da leader a cui sta a cuore l’ambiente.

Guai, però, a parlare di Green New Deal, il piano economico-industriale che punta a uno sviluppo incentrato sulle energie rinnovabili; per Franzen non solo alimenta false speranze sul Cambiamento Climatico: ruba forze che l’individuo potrebbe spendere per migliorare la propria comunità; e fondi da destinare alla difesa quotidiana dell’ambiente.

E’ la riduzione del celebre discorso “I have a dream” di Martin Luther King – la sua visione di una società senza distinzione di razza – alla frase “I have a breakfast”: intanto faccio colazione; poi curo il mio orticello, e domani si vedrà.

L’invito di Franzen è insomma combattere giorno per giorno per l’ambiente, facendo leva sull’etica individuale: solo così si potrebbe sperare di ridurre l’impatto del Riscaldamento Globale, ed evitare gli scenari peggiori. L’azione collettiva, per lo scrittore, è destinata a fallire per l’essenza stessa della natura umana: “restia a rivoluzionare il proprio stile di vita – precondizione per azzerare le emissioni di gas serra; e riottosa a finanziare la transizione energetica”.

Questa di Franzen assomiglia a una fuga dalla responsabilità politica nei confronti della generazione di Greta e di quelle future: la visione dell’apocalisse climatica descritta dall’autore, non rappresenterà mai abbastanza le miserie che l’umanità attraverserà a causa del rapido innalzamento della temperatura globale.

Ridurre drasticamente le emissioni di gas serra è un ponte generazionale come può esserlo mantenere la pace, o limitare la proliferazione di armi nucleari. Quando Martin Luther King condivise il suo sogno, nel sud degli Stati Uniti la segregazione era legale. Il razzismo non è del tutto debellato culturalmente: ma la lotta per conquistare diritti civili è stata portata avanti da movimenti di azione politica.

Oggi molti i leader, incalzati sulla questione, vogliono sfidare il Cambiamento Climatico antropico; la Commissione Europea ha affidato al Vice-Presidente esecutivo, Frank Timmermans, la delega al Green New Deal.

Quando Greta si piazzò fuori dal Parlamento svedese praticando lo sciopero da scuola per il clima, il suo non fu un gesto di ottimismo, ma di disperazione: denunciare l’inazione della politica e degli adulti sull’emergenza climatica. Non era mossa da un’etica individuale, ma dalla speranza di risvegliare le coscienze di chi, anche distrattamente, le passava davanti. E’ con questo spirito che è cresciuto Fridays For The Future: e il prossimo 20 settembre porterà in strada non “mille Greta”, ma milioni di giovani: chiederanno la fine dell’era del carbon-fossile e il consolidamento di una giustizia climatica.

Come adulti possiamo rigettare il senso di colpa per non essere stati capaci di contrastare, individualmente e collettivamente, il Riscaldamento Globale antropico; e magari possiamo anche concentrarci su isolate “azioni climatiche”, per migliorare la comunità.

Quel che non dovremmo fare, è vivere nella contraddizione di riconoscere i problemi che affliggono gli ecosistemi, ma senza agire di conseguenza; o sminuire il valore di una coscienza politica, anche radicale, per contrastare il Cambiamento Climatico. Altrimenti non possiamo lamentarci che le giovani generazioni puntino il dito contro di noi.

Update: per ironia della sorte, Fatboy Slim, il musicista che ha ispirato il Jova Beach Party, a sua volta ha trovato grande ispirazione in Greta Thunberg: il dj britannico ha campionato il discorso dell’attivista svedese dello scorso settembre presso le Nazioni Unite, mixandolo con le note di uno dei suoi maggiori successi: Right Here, Right Now.

di Cristiano Arienti

In copertina: Un momento dello sciopero studentesco per il clima, del 15 marzo 2019.

Fonti e Link utili

https://www.rollingstone.it/musica/interviste-musica/legambiente-risponde-a-jovanotti-mai-detto-no-a-priori-stai-generalizzando/475374/

http://www.abruzzoweb.it/contenuti/vasto-lavori-concerto-jovanotti-primi-denunciati-accertamenti-sul-comune/699818-4/?fbclid=IwAR1ES9kskABpmQQ0XXW12UXrxoS5m7OmSIfI0vhbsO6g_W6ipYtpK54vu18

https://ilpattotradito.it/jovanotti-attacca-gli-ambientalisti/

http://www.vita.it/it/article/2019/07/19/jova-beach-party-la-replica-del-wwf/152295/

https://www.newyorker.com/culture/cultural-comment/what-if-we-stopped-pretending

https://blogs.scientificamerican.com/hot-planet/shut-up-franzen/

https://milano.repubblica.it/cronaca/2019/09/11/news/jova_beach_party_linate_jovanotti_concerto-235721751/

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/03/29/riscaldamento-globale-cambiamento-climatico-spiegazione/41609/

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